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Le storie vere di Fiorenzo Barzanti: “Il prete e il contadino” (#3)

Storie vere di vita contadina sulle colline romagnole di Cesena.

Fine anni 50 – inizio anni 60. Storia N. 3

 

Don Antoni (Don Antonio) era alto ed austero ed aveva molto carisma. Era il prete di Santmen (San Tomaso, la bella pieve è tuttora esistente). Viveva nella canonica con la perpetua , una simpatica vecchietta che si chiamava ‘’la Teresa’’ ed una nipote che sposò il contadino della parrocchia Urbano ad Blen (intraducibile) dopo che gli era morta la moglie ed era rimasto solo con due figli. Mio babbo andò a fare il contadino a Santmen quando si sposò (durante il passaggio del fronte).

Il nome della casata era Feruccio ad Serafen. La sua famiglia era originaria di Casale (vicino a Sorrivoli) e come soprannome faceva infatti Serafan. Mio babbo non era il più grande , ma quando si sposò ed un ramo doveva uscire di casa , mio nonno gli disse ‘’bsogna tvega via te’ che Luis une’ bon dfe’ gnent’’ (bisogna che esci tu , che tuo fratello grande Luigi non è capace di fare niente).

Mio babbo ed il prete erano grandi amici (anche se uno era un comunista e l’altro democristiano). Mio babbo non andava a messa ma io facevo il chierichetto . Nei pomeriggi d’inverno , il prete arrivava nell’aia a casa nostra e diceva forte ‘’ Feruccio tai si par una brescla’’ ( hai tempo per una partita a briscola?).

E mio babbo rispondeva : ‘’che venga che venga Don Antoni , a finesc ad sisteme’ la burela e a veng’’ (venga , venga Don Antonio , finisco di accudire la mucca da latte ed arrivo subito).

Infatti tutti si rivolgevano al prete chiamandolo ‘’Sgnour Arziprit’’ mentre mio babbo lo chiamava Don Antoni.

Si sistemavano in cucina con il camino acceso e con un fiasco di sangiovese buono ( non quello che veniva venduto ai cittadini). Giocavano a briscola e parlavano dei raccolti. Ogni tanto parlavano di politica e le voci diventavano accese ma sempre con rispetto reciproco. Quando il fiasco era quasi vuoto , cominciava a parlare il vino , infatti arrivava l’argomento ‘’donne’’. Allora il prete allungava la mano nella tasca , mi dava due garibaldini (erano piccole caramelle colorate e non incartate) e mi diceva : va ad fora a zughi’ burdel ( vai fuori a giocare bambino). Arrivava il momento dei saluti e Don Antoni si rivolgeva a me dicendo: studia a ma racmand , se ci un sumar a scola at mandem in tia dili (studia perché se sei somaro a scuola ti mandiamo nei vigili urbani). Era un detto sicuramente non nuovo ma io l’avevo sentito dire per la prima volta da lui. Infatti nel giorno della processione del Corpus Domini a Cesena, un vigile (sicuramente repubblicano, secondo lui) gli aveva fatto la multa perché aveva parcheggiato l’automobie in un posto vietato.

Quando mi confessavo (il dialogo avveniva rigorosamente in dialetto), al momento della penitenza, Don Antoni concludeva: par panitinza te da ste’ a santi’ e tu ba’ cu t’ insegna ben. Soul ad puletica un capesc gnent ma noie’ di’ (per penitenza devi sempre ascoltare tuo babbo che ti insegna bene. Solo di politica non capisce niente ma non dirglielo).

 Fiorenzo Barzanti (barzanti.fiorenzo@gmail.com) riproduzione riservata

 

 

 

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