Per i contadini gli animali erano la risorsa più preziosa. Se osservate infatti la casa contadina degli anni 60 notate che solo due stanze al primo piano ( camera e cucina alla fine della scala ripida) erano riservate alla famiglia ( spesso numerosa) mentre lo spazio al piano terra preceduto dal grande portico era ampio e riservato agli animali. La stalla dove stavano le mucche da lavoro , la mucca da latte , l’asino o il cavallo. Il porcile dove stavano i maiali . Il pollaio ( di solito sopra elevato ed accessibile con una scala removibile di notte per impedire l’accesso alle volpi e ai cani ) dove stavano le galline . La conigliera dove stavano i conigli. La mia famiglia era un po’ più povera delle altre e nella stalla aveva solo l’asino e la burela (mucca da latte).. L’asino o meglio la sumara ( era femmina ) si chiamava ‘’Nita’’.
Non ci crederete ma ubbidiva come un cagnolino e riconosceva il suo nome. O meglio ubbidiva sempre a mio babbo , a me un po’ di meno perché gli facevo gli scherzi. La Nita faceva un lavoro d’oro. Attaccata al baruzen ( piccolo e snello biroccio) portava nell’aia i prodotti dei campi ( la frutta ed il fieno). Quando non ce la faceva più ( la salita era molto ripida) si stendeva per terra. Allora mio babbo la faceva riposare un po’ e quindi gli accendeva vicino una manciata di paglia. La Nita ( che come tutti gli asini aveva paura del fuoco ) partiva a razzo. Io avevo il compito di andare a prendere l’acqua potabile con la Nita. Caricavo due damigiane nel baruzen ed andavo alla fontana pubblica ( 1 km da casa) . In estate la fontana era prosciugata ed allora andavo dai contadini che avevano il pozzo e che ( non sempre ) la prestavano. Quando ‘’tiravo su l’acqua dal pozzo’’ con e calzeidar ( il secchio) , il contadino mi badava e diceva : non buttarla via perché l’acqua è preziosa. Il lavoro principale della Nita era un altro. In primavera ed in estate mio babbo andava al mercato a vendere il raccolto della giornata. In primavera i marzul ( cioè le primizie : carciofi , piselli , fave , fagiolini , i mataloni – cioè i primi fichi) , in estate la frutta . La sera prima sistemava tutti i prodotti nelle cassette in modo perfetto per spuntare all’indomani un buon prezzo. Prendeva i mataloni non perfettamente maturi e con un colpo secco da artista li schiacciava leggermente fra le mani in modo che emergesse la classica crepa per simulare la maturazione. Alla mattina alle 3 e mezza circa si partiva da San Tomaso ( con una m come è scritto sulla chiesa e non con due come si è stabilito oggi). Da San Tomaso alla Via Emilia ci sono circa 3 chilometri e ci volevano tre quarti d’ora.
Mio babbo a piedi vicino alla Nita : Io seduto in un angolino del baruzen che era stracarico. Era buio pesto e quando passavamo vicino al cimitero io avevo paura. Mio babbo lo sapeva e mi veniva vicino. Io facevo la solita domanda : l’è vera cu si veid ( è vero che ci sono i fantasmi dei morti?). Anche la risposta era la solita : no da reta al ciacri , un’è vera nient ( non dar retta alle chiacchiere , non è vero niente). Mio babbo salutava sempre gli amici morti ad alta voce :at salut Poldo enca te, te fat una brota morta , brot scinazz ecc.. (ciao Poldo ,anche tu hai fatto una brutta morte povero cristianaccio) e ad alta voce parlava da solo simulando le trattative che avrebbe fatto nel vendere la merce al mercato. Si arrivava al mercato ortofrutticolo ( era dietro alla stazione ferroviaria di Cesena) circa alle 5 . I contadini scaricavano la loro merce davanti all’ingresso del mercato che era rigorosamente chiuso ed apriva alle 6 con l’ululato della sirena. Era importante arrivare presto perché i primi si posizionavano vicino all’ingresso e quando si aprivano i cancelli , potevano piazzare la merce nelle piazzole migliori. Il trasporto della merce dall’ingresso alle piazzole di vendita era rigorosamente riservato ai facchini che venivano pagati con una percentuale sulle vendite ( come pure le spese di gestione del mercato). Prima dell’apertura del mercato era rigorosamente vietato ogni contatto fra venditori ( i contadini ) e compratori ( negozi , magazzini della frutta , fruttivendoli ecc). Se qualcuno barava veniva immediatamente multato dai vigili. Dalle sei alle sei e mezza la merce veniva sistemata nelle piazzole di vendita. Alla sei e mezza suonava la sirena ed iniziavano le trattative e la vendita dei prodotti. Alle sette era tutto finito e noi come gli altri contadini andavamo in uno delle due grandi osterie all’interno del mercato. Mio babbo andava in tutte e due perché a novembre aveva bisogno di vendere il suo vino ad entrambe. Si mangiava piadina calda con cotechino , con mortadella e con coppa di testa. Il sangiovese andava a fiumi. Alle 8 ripartivamo con la Nita. Questa volta il baruzen era vuoto e salivamo entrambi con mio babbo che aveva qualche soldino in tasca. ( i compratori pagavano sempre in contanti). Ci fermavamo dal macellaio a Case Finali per comprare un po’ di pigatura ( carne da brodo di seconda scelta ) e qualche volta due etti di scanello ( bistecche sottili di coscia di bovino). L’ultima tappa era all’inizio della strada di San Tomaso dove c’era l’osteria della Camossa (intraducibile). Mio babbo si faceva un bicchier di sangiovese ed io un’aranciata. Alle 10 eravamo a casa.
Fiorenzo Barzanti (barzanti.fiorenzo@gmail.com) riproduzione riservata
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