Il 3D è roba vecchia. Sul serio. Proprio come i dinosauri della televisione, che a turno scompaiono per ripresentarsi sulle scene con un nuovo look, allo stesso modo il 3D, catalogato come flop intorno agli anni ’90 ci è stato riproposto come la novità di fine “anni Zero”. E non è stato difficile convincere il pubblico.
Siamo pur sempre nel campo della tecnologia, un settore che non è mai a corto di consumatori alla ricerca di nuove emozioni (soprattutto nell’audio-video), qualcosa che lo avvicini ad un’idealtipica perfezione nell’immedesimazione.
Negli ultimi anni il cinema soffre il bisogno di fare il salto di qualità, partorire l’idea che gli permetta di scrollarsi di dosso la reputazione di “grande televisore”. Grandi aspettative erano generate dalla consapevolezza che la tecnologia ha fatto passi da gigante negli ultimi venti anni e dunque era lecito sognare un cinema sempre più coinvolgente e interattivo. Si pensava che il 3D potesse essere un passaggio epocale, come quello dal bianco e nero al colore o dal muto al sonoro.
Il pubblico ha cominciato a crederci con maggior convinzione quando sono comparsi i primi cinema dotati della “nuova” tecnologia. L’Emilia Romagna si è mostrata particolarmente ricettiva da questo punto di vista. Un censimento dei cinema a tre dimensioni registra ben 26 strutture. La nostra regione è dunque la terza in Italia per numero di cinema abilitati, dietro solo alla Lombardia e al Lazio (rispettivamente 38 e 27), anche se va detto che a Forlì-Cesena c’è ben poca roba. Solo a Forlì ormai le sale di proiezione si contano sulle dita di una mano e nessuna di queste prevede il 3D. In tutta Cesena ce ne sono due.
Oltre alla penuria di opzioni, lo spettatore si è dovuto scontrare anche con l’impietosa realtà: per quanto il progresso corra impazzito, i fastidiosi occhialini di plastica sono ancora lì. L’eccitazione per la nuova esperienza visiva si è convertita nel giro di pochi anni in irritazione per la maggiorazione sul prezzo del biglietto. E gli occhialini sono ancora lì.
La ricerca non fa che proporre soluzioni alternative. Si parla di due proiettori che riproducano sullo schermo due immagini sovrapposte ma leggermente diverse, di autostereoscopia (che è un po’ la tecnologia che sta dietro al Nintendo 3DS), ma ci si rifiuta di considerare che forse il 3D, dopo un avvio sfolgorante, è tornato ad essere quello che era: un flop.
Il vero fallimento lo si vede al box office. I film che utilizzano le tre dimensioni sono rigorosamente film mainstream, con una spiccata propensione all’intrattenimento d’azione. Un timido approccio al 3D l’aveva fatto Bertolucci, tentato dall’idea di girarci “Io e te”, salvo poi tornare sui propri passi. Questo per dire che non stiamo parlando di un’invenzione che sia in grado di rivoluzionare il modo di fare cinema. Tutt’al più può cambiare il modo di fare “un certo tipo di cinema”.
Anche perché, diciamolo, non c’è bisogno di vedere Almodovar in 3D per poterlo apprezzare.
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