Sono passati vent’anni, da quando accompagnato solo da due enormi borse a spalla, sedevo sul marciapiede della stazione di Forlì aspettando un treno che dopo 5 cambi e 15 ore mi avrebbe portato a Montpellier.
Avevo deciso che era l’unica cosa da fare per ottenere il mio tirocinio universitario in forma di Erasmus, ma non l’avevo comunicato al destinatario.
Con un francese così così, con i soldi contati in tasca e molto preoccupato dell’accoglienza visto che non avevo avvisato nessuno del mio repentino arrivo.
Da pioniere “agricolo” dell’Erasmus (a quei tempi i miei colleghi universitari ambivano a fare il tirocinio vicino a casa per fare più esami), mi ero purtroppo accorto che al telefono e per Fax, anzi per telecopiè come dicevano allora i puristi dell’Esagono, non riuscivo ad avere il via libera per partire.
Arrivai alle tre del mattino, qualche ora di sonno all’hotel de la Gare e di primo mattino mi presentai al direttore dell’Ecole Nationale Superieure d’Agronomie. Sul suo volto abbronzato lo stupore imperversò, ma dopo un primo sbandamento riprese il suo savoir faire e mi portò in segreteria e con il francese che potevo scelsi lo stage che volevo. Però iniziava 20 giorni dopo e così ripresi il treno che dopo altre 15 ore mi riportò a casa, ma con la consapevolezza di aver ottenuto ciò che volevo.
Lo stage fu poi un successo e mi permise di vivere un’esperienza straordinaria. Mi resi conto che questo programma europeo mi permetteva di crescere e di conoscere cose che in passato erano forse riservate a classi sociali ben più privilegiate della mia. Di condividere con i miei coetanei d’oltralpe formazione, sperimentazione, lavoro e tempo libero e verificare che fatto salvo i primi giorni di qualche imbarazzo linguistico in realtà la nostra generazione apparteneva già allo stesso popolo. Quei tre mesi sono stati in proporzione tre anni dal punto di vista della mia vita e sono stati poi fondamentali per riuscire in altri momenti sia di studio che professionali.
Senza retorica, una svolta, per poter leggere ogni cosa con occhi diversi da prima e di questo un grande grazie va alla cara e vecchia Europa e forse un poco anche all’avventatezza dei miei 23 anni.
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