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Primarie, no grazie

Da socialista, appartenente al centro sinistra, dovrei, come tutti, andare a votare alle elezioni primarie indette dai partiti di quest’area politica.

Dovrei, ma so già che la prossima volta, anche alla luce dei risultati fin qui ottenuti, non lo farò.

Perché dovrei farlo? Non sono mai stato legato ai nomi, alle persone – neppure a Craxi – ma solo ai valori e ai principi della politica, alle sue scelte e alle sue azioni conseguenti. Tantomeno sono Renziano, Lettiano, Epifaniano, Vendoliano, o chiunque altro.

Perché dovrei farlo? Non sono uno di coloro, e sono purtroppo tanti, che attente il voto delle primarie come una sorta di resa dei conti tra dirigenti dello stesso partito.

Temo che queste anomale elezioni primarie, anziché definire i vertici del centro sinistra, finiscano per dividerli ulteriormente e più profondamente anche sul piano personale, coinvolgendo, peraltro, nella divisione lo stesso corpo elettorale.

La mania che da decenni ci rende un Paese seguace di tutte le mode statunitensi, sia quelle positive sia quelle negative, coinvolge ora anche la politica: siccome le primarie le fanno gli americani, dobbiamo farle anche noi!

E ciò senza tener conto dell’enorme differenza tra i due sistemi politici e istituzionali, le loro origini e le diverse sensibilità dei rispettivi elettorati.

Una volta i Partiti italiani, prima di fare una cosa, si ponevano una domanda: a chi giova? La ripropongo: a chi giova? A Renzi, per definire un ruolo che già gli compete? A Letta, per accrescere su di se un consenso virtuale, in funzione di un altrettanto virtuale ruolo centrale di capo del governo? A Vendola, per alimentare la nuova sinistra extra partiti?

Riassumendo, quindi, i miei dubbi sono questi: con le elezioni primarie si rischia di attuare l’ulteriore personalizzazione della politica; si legittima la resa dei conti in casa della sinistra; si divide, anziché unire, la base elettorale dell’intero centro sinistra.

Mi domando, in questo caos, in particolare, se la classe dirigente del partito di maggioranza relativa della coalizione di centro sinistra – il PD – abbia persa anche la ragione, oltrechè la bussola della politica.

Come possono stare a guardare senza avere il coraggio di dire chiaramente quello che sarebbe ora di stabilire una volta per tutte: e cioè che il leader della coalizione lo deve esprimere il partito di maggioranza relativa e non altri, attraverso la selezione naturale dei dirigenti propria della vita, statutariamente determinata, del partito stesso.

Non se ne sentono ancora ideologicamente degni, o in grado di farlo? Temono che gli italiani, dopo la non esaltante esperienza di D’Alema e quella recente di Bersani, un galantuomo, non siano d’accordo? Non ritengono di disporre del personaggio giusto? Non credo che siano queste le vere ragioni dell’apatico atteggiamento dei dirigenti del PD.

Forse si tratta ancora dei residui del tatticismo esasperato, senza una chiara strategia politica, che caratterizza quel partito fin dalla sua costituzione.

Un tatticismo che, per legittimare e salvaguardare se stesso, in quanto partito ideologicamente composito, si priva di una vera strategia politica, di una propria identità, dei propri diritti politici e della propria forza elettorale, lasciando campo libero a strumenti genericamente democratici, come le elezioni primarie aperte, ma sostanzialmente distruttivi della sua unità interna, condizione prima d’ogni forza politica.

Se il PD vuole “fare l’americano”, non dimentichi, come dice la canzone di Carosone, che “è nato in Italy” e che in Italia un partito non può delegare le proprie responsabilità agli altri ma deve assumersele direttamente, fino in fondo, pena la sua credibilità e la sua capacità d’attrarre consenso elettorale.

Comunque sia, qualunque sia lo sviluppo dell’intricata situazione politica italiana e visto che le prossime elezioni primarie sembra siano alle porte, io ho già deciso: non vi parteciperò.

 

Alessandro Guidi

(via Forlivese Blog)

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