Durante la prima edizione sono stati numerosi gli estimatori dell’iniziativa: camminando per la via è spesso capitato di incontrare molti cittadini forlivesi – di tutte le età – così come molti turisti intenti ad ammirare le opere con il naso all’in su, a scattare foto e a partecipare a visite guidate.
Per la via è stata una vera e propria “iniezione rigenerante” che non solo ha saputo rivalorizzare la strada e le attività in essa esistenti, ma anche arricchire il “polo artistico” espositivo del centro storico che idealmente congiunge Via Giorgio Regnoli al Museo Civico S. Domenico.
L’idea originaria di questa iniziativa è nata dall’Associazione Regnoli41, costituitasi formalmente nel 2011 per volontà di un gruppo di residenti e di esercenti della via desiderosi di attivarsi personalmente per riportate i forlivesi a frequentare la strada che negli ultimi anni stava attraversando un periodo di crisi. I membri dell’Associazione sono rapidamente cresciuti accogliendo residenti anche di altre parti della città, operatori culturali e artisti tutti uniti dalla volontà di promuovere dal basso via Giorgio Regnoli come via “dell’arte, dell’artigianato e del buon vivere”.
A questo scopo l’Associazione organizza varie iniziative culturali, ma è proprio la prima edizione della “Galleria a cielo aperto” a segnare in modo incisivo questo percorso. L’Associazione collabora con Mario Zambrini, scenografo e artista poliedrico, che viene ingaggiato come Direttore Artistico. La prima edizione coinvolge con successo vari artisti locali: pittori, fotografi, designer, scultori ai quali viene chiesto di cimentarsi con il tema dell’integrazione, proprio uno degli aspetti più delicati per la vita della via.
Il crescente consenso e l’assidua partecipazione da parte della cittadinanza si accompagnano all’avvallo anche della pubblica amministrazione locale che, per la seconda edizione dell’iniziativa, diventa vero e proprio partner di Regnoli41 aiutandolo a promuovere l’iniziativa con un bando nazionale. In particolare, la collaborazione dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Forlì riesce a portare l’iniziativa a conoscenza anche delle scuole, ossia i licei artistici e le accademie di belle arti di tutta Italia. Come Direttore Artistico viene riconfermato Mario Zambrini che viene affiancato da una giuria selezionatrice composta da: Michele Centonze – compositore, arrangiatore e produttore discografico, Claudia Casali – Direttrice del Museo Internazionale della Ceramica di Faenza, Cristina Ambrosini -Dirigente del Servizio Politiche Culturali, Giovanili e Sportive del Comune di Forlì e Project Manager, Elisabetta Celli – designer – rappresentante di Regnoli 41.
Tra tutte le opere pervenute ne sono state scelte venticinque dallo stile e dalla forma più disparate: dalla pittura alla fotografia, passando per la grafica, la scultura e le installazioni. Il comune denominatore di queste opere è il tema del lavoro che ogni artista ha rivisitato in modo personale. Vari sono gli aspetti del lavoro che gli artisti hanno messo in luce.
Per molti di loro il lavoro è stato rappresentato come alienazione e coercizione: “A ciascuno il suo” di Federica Fiorini è un’installazione nella quale le camicie di forza appese ai fili mostrano come spesso quello che facciamo nel lavoro non è quello che la nostra anima sarebbe predisposta a fare, la scultura “Liberarsi dal lavoro coatto” di Fabio Pullara denuncia proprio la negazione dell’autonomia che il lavoro va a mortificare, “Modernità” di Roberta Ottaviani pone l’accento su come di frequente si possa essere vittima del lavoro altrui, delle sorgenti altrui ,delle vibrazioni altri, dei suoni altrui e in essi dissolversi.
Altri hanno saputo cogliere il valore di alcuni tipi di lavori che, come i mestieri più antichi e a volte più umili, sia in occidente, sia nei paesi più lontani, hanno il valore di un vero e proprio rituale di vita quotidiano: “Aequilibrium, il pescatore” di Caterina Errani ritrae un pescatore dell’ex Birmania perso nella bellezza del suo lago, a simboleggiare il lavoro come attività pacifica lontano dalle logiche della catena di montaggio, “l’Aratura” di Stefano Berti propone il lavoro quotidiano della terra come valore da trasmettere di generazione in generazione, “Il ricamuri” è un’originale installazione di Amanda Chiarucci (in arte Lady Groove) dedicata ad un mestiere antico, un antico rituale femminile cioè il ricamo che oggi si trasforma in graffito, “La tessitrice” di Serena Luna Raggi ritrae una donna di altri tempi che possiede mani artigiane, “Telaio+rocchetto” di Antonella Matricciani simboleggia l’immobilità delle parti e la fine della produzione tessile, “Vecchi mestieri” di Natascia Caroli è un’opera minuziosa da osservare da vicino che con lacche povere veneziane su tavola ripropone le suggestioni di vecchi mestieri di bottega.
Per alcuni il lavoro rappresenta ancora l’opportunità di proiettarsi nel domani: “Ragazza che pensa al futuro” di Sabrina Plasmati scolpisce lo sguardo di chi si proietta fiduciosa in un futuro migliore, lontano dalla crisi.
Il valore del lavoro: “LavORO” di Catia Capucci vuole comunicare come, nel lavoro, dalle mani di ciascuno nasce un valore con cui, poi, si intessono storie e relazioni da cui nascono ricchezze che passano di mano in mano e sono legate alla fatica, al dovere, al diritto e al piacere, “Oppure no” di Giuseppe Tolo è un’opera di graphic design ironica e, al tempo stesso, amara che trae spunto da un famoso fotogramma con Alberto Sordi e nei particolari dei pixel cela una sorpresa.
Infine, alcune opere omaggiano proprio alcune invenzioni del mondo del lavoro che hanno fatto la storia del progresso: “Ruota vulcanica” di Gloria Rossi celebra a modo suo proprio la ruota, invenzione per eccellenza dell’uomo, “Che invenzione la ruota” è una scultura di Delio Piccioni che vuole dar rilievo a questa trovata in grado di produrre meccanismi in movimento che diventano poi processi produttivi, “Il tecnorologio” di Jose M.M. Tordecilla ci mostra che, come il semplice orologio scandisce il tempo, il tecnorologio scandisce le tappe del progresso.
Tra le opere esposte anche la fotografia “La via che non dorme mai”, un bianco e nero realizzato da Renè Ruisi, vincitore del concorso “ Uno scatto per via Regnoli” promosso nella primavera del 2013 da Regnoli41 e dal quotidiano locale “La Voce di Romagna”.
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