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Lavoro nero e servizi alla persona: le coop sociali si interrogano

Badanti senza la minima qualifica ma con partita IVA, baby-parking che si credono asili, centri estivi non autorizzati, case-famiglia per anziani senza nessun controllo, associazioni di volontariato solo di nome: l’elenco delle forme “creative” con cui a Ravenna e in Romagna si eludono tasse, leggi e contratti di lavoro è lunghissimo. Ma quello che allarma è che i servizi alla persona “in nero” o ai margini della legalità risultano essere largamente tollerati all’interno degli ospedali, dei Comuni e di tutto il sistema di Welfare territoriale.

Sono quasi 4mila i lavoratori delle 60 cooperative sociali di Ravenna (12mila in tutta la Romagna, dove operano 270 imprese) che, in uno scenario caratterizzato da cambiamenti strutturali ed economici molto profondi vivono, di fatto, in una condizione di continua precarietà professionale dovuta alla mancanza di certezza sui ruoli, la formazione e le certificazioni necessarie per operare nel settore del welfare. Perché – si chiedono i rappresentanti delle cooperative – deve esserci differenza dal punto di vista normativo fra il muratore che lavora in nero in un cantiere, il bracciante in campagna, il cameriere nel ristorante e la badante in ospedale? E perchè nessuno interviene?

Sono alcuni dei temi emersi dalla Tavola rotonda “Welfare e Lavoro” organizzata oggi pomeriggio a Ravenna dall’Alleanza delle Cooperative Romagna alla presenza, tra gli altri del Direttore Generale dell’Ausl unica, Andrea Des Dorides, del presidente dell’ANCI dell’Emilia-Romagna Daniele Manca, del Giudice del Tribunale di Ravenna Roberto Riverso e del Segretario di CISL Romagna Antonio Cinosi. È la prima uscita a livello di area vasta delle centrali cooperative AGCI, Confcooperative e Legacoop in questo campo, molto vicino alle necessità dei cittadini.

Le cause della situazione attuale sono tante. Difficoltà a organizzare controlli efficaci, carenza di risorse, certo, ma le cooperative sono consce che c’è in primis una difficoltà economica delle famiglie ad accedere a servizi di buona qualità, per cui in caso di necessità si fa quel che si può, finendo per rivolgersi al mondo del “grigio”. Una falsa convenienza che va a ledere, prima di tutto i cittadini, che pagano due volte per un servizio di livello pessimo e con molti rischi.

Le soluzioni? Le cooperative sociali sanno che occorre mettere a punto strumenti legittimi a costi il più contenuti possibile, si impegnano per questo e in alcuni casi già hanno avviato nuove attività che rispondono a questi requisiti. Quello che si chiede a tutto il settore pubblico è di dare il “buon esempio”, superando la tolleranza che ha dimostrato in alcuni settori diversamente da altri, e aprire il confronto in maniera seria, a tutti i livelli, per costruire un welfare davvero partecipato.

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