Vendere e monetizzare il marchio sarebbe stata la strada più facile, ma si sarebbe rimasti con un pugno di mosche. Di fronte a un sacrificio necessario molto meglio mantenere la gestione a Cesena, con una visione di prospettiva che consenta di progettare qualcosa di diverso e utile per la città e l'indotto.
Macfrut se ne va. Probabilmente a Bologna dove viaggerà insieme a Sana. Manca ancora la certificazione da parte del cda, ma questo è quello che hanno suggerito le aziende nel corso di un incontro con i vertici della fiera.
Che a Macfrut servisse una soluzione B era noto da tempo. Per lo meno fin da quando ci fu la trattativa con Rimini. Quella che sembrava fosse già chiusa e che poi saltò all’ultimo momento per un combinato disposto che avrebbe portato Cesena a non avere la contropartita giusta.
Sulla situazione della più importante fiera cesenate è necessario fare chiarezza. Le difficoltà sono iniziate diversi anni fa. Non è un caso che la data fu spostata da inizio maggio all’autunno. All’epoca si cominciò a parlare anche di cadenza biennale.
I problemi erano aumentati ed era sempre più difficile portare a Cesena le aziende più importanti. L’opera di convincimento era sempre più ardua. I problemi sono aumentati con la nascita di iniziative simili. Competitor che offrivano spazi più attrattivi.
L’aspetto determinante erano gli spazi, l’offerta logistica, non il prodotto. Il marchio Macfrut era e resta valido anche se ha perso posizioni. Ora ci sono almeno due fiere che le sono superiori. Per riguadagnare terreno serve internazionalizzarla.
Ma per farlo è necessaria una soluzione logistica diversa. Insomma, un cane che si morde la coda. Una cosa però è certa: senza lo spostamento comincerebbe l’eutanasia. E il depauperamento di un marchio molto importante rischierebbe di essere veloce.
In questa situazione Cesena è stretta tra due fuochi. Da una parte c’è la necessità di dare continuità alla fiera che per la nostra ortofrutta è una vetrina irrinunciabile, dall’altra c’è e c’era il bisogno di capitalizzare il valore aggiunto che ancora Macfrut garantisce.
La cosa più semplice sarebbe stata monetizzare: vendere il marchio portando a casa il più possibile. Di fatto, però, si resterebbe con un pugno di mosche.
La strada migliore invece è un’altra: mantenere la gestione a Cesena, spostare la sede della kermesse in un’altra città e realizzare a Pievesestina un’altra manifestazione. Qualcosa in grado di garantirte l’indotto che porta Macfrut, ma, soprattutto, che possa garantire il gettito necessario al padiglione fieristico che continua a ruotare attorno a Macfrut.
Per ottenere questo risultato c’erano due possibilità: farsi girare una kermesse da chi “acquista” Macfrut, oppure utilizzare i proventi economici derivanti dalla cessione di Macfrut per costruire in nuovo contenitore (al momento la fiera non avrebbe la forza economica per finanziarlo) e realizzare qualcosa legato al territorio. Insomma, avere un ruolo attivo e propositivo di fronte a quello che è un sacrificio obbligatorio.
Del resto amministratori e politici devono avere una visione in prospettiva per garantirte continuità al territorio. In questo caso al sistema fieristico. Incaponirsi nella difesa di un marchio può dare risultati immediati dal punto di vista mediatico (adesso tutti sono pronti a strapparsi le vesti per difendere Macfrut), ma è una scelta che, a lungo andare, indebolirebbe la fiera che vedrebbe depauperare il marchio leader senza aver potuto creare qualcosa di diverso.
Quella della mancata visione di prospettiva, purtroppo, è uno dei difetti dei politici. Cercando la risposta immediata si ottengono risultati dal punto di vista del consenso, ma spesso (quasi sempre) non si fa il bene del paese.
Uno degli esempi più classici è quello della Germania: è uscita dalle secche grazie alle riforme fatte da Schröder che, però, per quei provvedimenti perse le elezioni.
Davide Buratti
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