Negli ultimi tempi si è parlato molto di partecipate ed è stato puntato l’indice accusatore contro queste propagini delle pubbliche amministrazioni. Le critiche sono giustificate quando queste società diventano un cimitero degli elefanti dove “depositare” politici al canto del cigno e in cerca degli ultimi gettoni (spesso consistenti) di presenza, oppure quando diventano un moltiplicatore di consulenze.
Invece buona parte delle partecipate potrebbero essere un importante strumento per lo sviluppo del territorio. Serve però un approccio diverso rispetto a quello che, in molti casi, c’è stato fino ad ora. Per farle lavorare nell’ottica dello sviluppo territoriale ci potrebbero essere alcune direttrici da seguire. Soprattutto due o tre.
La più importante riguarda la nomina dei consiglieri di amministrazione. In questo caso gli enti pubblici dovrebbero muoversi in due direzioni. Innanzitutto si deve lavorare al coinvolgimento di imprenditori o manager. Ci sono tanti esponenti di spicco del mondo economico che (a prescindere dal ritorno economico) sarebbero disposti a dare il loro contributo per contribuire allo sviluppo del territorio. Per tutta una serie di motivi però, va da se, che queste persone non possono essere coinvolte in modo diretto e continuato nella gestione amministrativa di un ente pubblico. E’ difficile immaginarli assessori. Fra l’altro servirebbe un impegno a tempo pieno che, obiettivamente, non potrebbe essere ricompensato in maniera adeguata. Difficile pensare anche all’incarico di consigliere comunale. A parte il fatto che l’Assise è stata svuotata di molti poteri. Inoltre quello di consigliere comunale è più un ruolo politico che non operativo e, quindi, strategico per l’elaborazione delle idee propedeutiche allo sviluppo.
Ed allora, a parte fantomatiche cabine di regia del sindaco che lasciano il tempo che trovano, il modo per utilizzare quello che è un enorme patrimonio di conoscenza e esperienza potrebbero essere le partecipate. E’ chiaro però che, all’interno di una linea politica predefinita, dovrebbero avere un ampio margine di manovra grazie al quale poter definire quelle linee strategiche che poi, ovviamente, devono essere realizzate dai dirigenti della struttura. Nominarli per poi imbrigliarli in un percorso ad ostacoli non avrebbe senso. Sì, anticipo le eventuali obiezioni, sarebbero una sorta di assessori ombra. Che male c’è?
Nello stesso tempo in un cda siffatto potrebbero trovare posto dei giovani, quelli che hanno dimostrato (soprattutto nel percorso scolastico) di avere delle qualità e, quindi, di poterle affinare facendo esperienza.
Visto che ci siamo, sui giovani è sul loro utilizzo è bene fare chiarezza. E’ giusto dare spazio alle nuove generazioni. Ma bisogna evitare le overdose da giovanilismo. I giovani vanno fatti crescere con calma. Come si dice nel calcio: devono farsi le ossa. Ed è per quello che l’inserimento in cda composti da persone esperte e di riconosciuta capacità potrebbe essere il posto giusto dove affinare le proprie capacità e conoscenze.
C’è poi il discorso dei revisori dei conti. Anche qui dovrebbero tornare in campo i giovani. Spesso il controllo contabile delle partecipate è affidato a commercialisti esperti, professionisti con studi già avviati. Forse, invece, sarebbe opportuno inserire un meccanismo che premia i giovani che ancora devono conquistarsi importanti fette di mercato e che, al momento, oltretutto, hanno più bisogno dei proventi garantiti dalle partecipate.
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