Nel tempo della “velocità” e delle notizie in tempo reale, leggersi i quotidiani arretrati di qualche settimana può apparire come una offesa alla modernità. In realtà le mie letture “ritardate” sono un punto equilibrio tra il poco tempo a disposizione per la lettura ordinaria e l’incremento delle pagine dei giornali che ne fanno spesso più dei settimanali che dei quotidiani.
Nei primi giorni di ferie d’agosto mi è capitato il Sole 24 ore del 25 giugno, in cui a pagina 21 campeggiava il titolo a 5 colonne: “la débâcle del calcio europeo nel mondo”. Concetto rafforzato dal commento: «Fine di un ciclo. Il Mondiale brasiliano segna la fine di un’epoca caratterizzata dal predominio calcistico del Vecchio Continente». Non ho potuto evitare che un sorriso mi si stampasse in volto.
Come è noto infatti Germania (campione del mondo) e Olanda (terza) sono Paesi ai margini del continente africano i quali finalmente rompono un predominio consolidato.
Se il titolo faceva riferimento alla prematura eliminazione di Italia, Spagna ed Inghilterra forse qualche pillola di pazienza e di lentezza avrebbe aiutato.
Quello che mi ha fatto riflettere è stato, diciamo così, “l’inquadramento” europeo-centrico di un presunto problema nel mondo del calcio. A volte riscontro lo stesso pregiudizio nel campo economico e agroalimentare, ma credo che queste cose facciano bene al percorso di maturazione europea. Quando un vicino di casa conquista un risultato migliore del tuo sei meno legittimato a trovare improbabili giustificazioni nella genetica, nella cultura o nella fortuna.
In maniera più prosaica tocca orientarsi verso l’attenzione, il lavoro e la fatica. Può essere scomodo sentirselo dire, ma in fondo in fondo lo abbiamo sempre saputo e lo sappiamo tutt’ora.
Questo post è stato letto 202 volte