Il taglio dei fondi pubblici all’editoria provoca sconcerto in un sempre più vasto arco di interlocutori politici, sociali e culturali. Roberto Balzani, storico, docente e componente della direzione nazionale del Pd, coordinatore del progetto di consolidamento della Scuola di formazione giornalistica promosso dall’Ordine dei giornalisti in collaborazione con l’Università di Bologna, protagonista di molte battaglie controcorrente per il rinnovamento di una politica più vicina alla partecipazione dei cittadini, esprime la propria netta contrarietà all’ulteriore taglio ai fondi pubblici all’editoria che è stato introdotto a partire dai fondi del 2013, e che ora mette a rischio la sopravvivenza di trenta testate quotidiane e periodiche edite da cooperative e associazioni non profit in tutto il territorio italiano. Ad essere messe in discussione circa 500 posizioni lavorative di giornalisti e poligrafici.
«I giornali – spiega il professore di storia contemporanea – hanno un ruolo di rilevanza costituzionale. La stampa e la sua libertà sono addirittura prioritari per la cittadinanza rispetto all’esercizio amministrativo: costituiscono un bilanciamento di potere indispensabile per fare funzionare e poter riconoscere una democrazia degna di questo nome».
«Nella mia esperienza di sindaco – prosegue Balzani – ho sempre riconosciuto come necessari l’autonomia della stampa e il suo ruolo nella società».
Eppure i giornalisti sono spesso figure scomode per il potere…
«Io non credo, come talvolta invece si fa in alcuni ambienti, a partire dai vertici della politica, che i giornalisti si debbano dividere classificandoli o come disturbatori o come utili idioti. È pericolosa questa scorciatoia, propria di chi vuole esercitare il potere senza una componente terza».
Pensiamo ai territori locali: che cosa può significare la scomparsa di testate che hanno accompagnato per 20, 25 anni la crescita del localismo?
«È una perdita di risorse culturali, umane, professionali che fanno parte di un capitale sociale cresciuto in questi anni… Sembra quasi una irriflessiva conseguenza di un federalismo rovesciato, dove sono soprattutto le comunità locali a dover pagare il prezzo di processi di semplificazione e globalizzazione che sono gestiti – dal punto di vista dello Stato – con imponenti tagli lineari della spesa pubblica. Stiamo discutendo di parti del bilancio pubblico, in relazione all’editoria, che costano meno di un aereo F35 ma che investono nei fatti oltre 600 persone. Inoltre, a quanto mi risulta, e per fortuna, oggi sono stati ridotti ed eliminati gli abusi che negli anni passati sono pure avvenuti nel campo del finanziamento pubblico all’editoria e che vanno riconosciuti e sempre debellati con rigore».
In un recente studio del Censis, la quota in diminuzione nella vendita di libri e giornali – non compensata ancora dalle modeste vendite di prodotti on line – viene considerata un aspetto della «nuova ignoranza fra gli italiani».
«Non c’è dubbio, Siamo all’analfabetismo di ritorno, che procede con sorprendente velocità. Anche per questo la lettura dei giornali e dei libri è un contrasto in quella direzione. Nel giornalismo, infatti, c’è stato sempre uno sforzo nella creazione di una lingua degli italiani, che pur non essendo aulica, specialistica o accademica, ha contribuito a innalzare la narrazione pubblica, elevando anche i concetti del senso comune. Del resto, di recente, proprio fra i Meridiani Mondadori ben quattro volumi sono stati dedicati al giornalismo… Temo però che questo sembri definire ormai il giornalismo come una parte della letteratura e non, come dovrebbe, la migliore espressione del linguaggio comune».
Che cosa consiglia agli addetti ai lavori che gestiscono nel rapporto con il Governo la delicata vicenda dei fondi pubblici all’editoria?
«Premetto che non ho alcuna magica ricetta, ma sicuramente ritengo che indebolire questo specifico settore dell’informazione rende la democrazia più vulnerabile, soprattutto quella degli ambiti locali, dal Comune alla Regione. Chiunque abbia fatto l’amministratore sa bene quanto sia difficile comprendere, in tutti i suoi aspetti e le trasformazioni in atto, la vastità dei problemi sociali. Oggi sono molto più complessi e sfuggenti. Basta analizzare le rassegne stampa dei giornali locali per rendersi conto che sono migliaia le vicende che sono state portate alla luce, evidenziate, dalle cronache alle lettere dei lettori. Non è così semplice trovare altrove questa sintesi che è il frutto, del resto, di mestieri come quello del cronista che si occupa di quello che accade nella sua città per ogni giorno dell’anno, ma ha anche una professionalità di ricerca, verifica delle fonti e dei fatti che è assolutamente unica. Meno giornalisti, meno libertà».
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