Roy Berardi ha ragione. Commentando il pezzo “Commercio: l’importanza del magnete” ha proposto di far diventare Eataly e Casa Artusi un magnete per la Romagna. Ha ragione da vendere, ma va da se che le due strutture dovrebbero dialogare per formare un tandem che avrebbe di tutto per essere vincente.
Ma, entro poco tempo, potrebbe nascere un triciclo che farebbe del territorio della provincia di Forlì-Cesena un punto di eccellenza (non solo per la Romagna) della enogastronomia.
La terza ruota del triciclo potrebbe essere Cesena. È ormai ufficiale: la fiera vuole creare uno spazio dove fare una scuola di cucina. Il progetto però dovrà essere sufficientemente ambizioso per puntare a fare una sorta di Città del gusto avvalendosi di un partner importante. Nel caso vada in porto questo soluzione (le condizioni sembrano esserci) è chiaro che ci dovrebbe essere un dialogo con Eataly e Casa Artusi.
Le tre strutture (ipotizzo che Cesena centri il suo obiettivo), è chiaro, dovrebbero essere complementari. Quindi evitando inutili e controproducenti sovrapposizioni. Se ci riuscissero potrebbero avere una potenza di fuoco con pochi eguali. Il tutto con l’obiettivo di collaborare col territorio per valorizzarlo sia dal punto di vista gastronomico che culturale. Due aspetti che, spesso, sono due facce della stessa medaglia.
Naturalmente il primo obiettivo dovrebbe essere quello di fare da cassa di risonanza ai nostri prodotti. Ma anche a quelli meno conosciuti. Quindi non solo piadina, formaggio di fossa, carne di mora romagnola, pesce della nostra costa o albana di Bertinoro. Ma anche, ad esempio, lo stupendo raviggiolo, il delizioso scalogno di Riolo, la pera cocomerina, le tantissime erbe spontanee che crescono nei nostri campi, le fave e i piselli di Roncofreddo, la pagnotta pasquale, i bracciatelli. L’elenco, naturalmente, potrebbe essere molto più lungo.
Le specialità non ci mancano. Il problema è che spesso, troppo spesso, non le abbiamo valorizzate. Quindi, intere generazioni sono state trascinate dalle mode che le hanno spinte a cercare prodotti che non avevano niente a che fare con il nostro territorio. Non sapendo, però, cosa si perdevano non mangiando un semplice, ma inarrivabile, risotto all’ottica. Ma pure quella gastrolibidine che sono le tagliatelle agli stridoli (quelli selvatici, per carità). Oppure, se vogliamo parlare dei comunissimi e superconsumati crescioni, in quanti possono dire di averne mangiato uno con le erbe di campo, compresa quella magnificenza che sono le rosole?
Adesso, per la verità, fra gli under 25 comincia ad esserci questa sensibilità. Nonostante tutto, però, l’offerta latita. Per questo servirebbe un polo di eccellenza che, per il momento, potrebbe essere composto da un tandem, ma potrebbe diventare un triciclo.
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