26 maggio 1817: il delitto Manzoni
Il faentino Domenico Manzoni, dopo essere stato condannato nella sua città natale per giacobinismo ed eresia, si trasferì a Forlì. Qui, essendo un esperto faccendiere, ben presto attirò le antipatie sia dei nobili sia della gente del popolo, tanto che, la sera del 26 maggio 1817, percorsa via Santa Croce (l’attuale via Francesco Canestri), giunto all’incrocio con via del Teatro (l’odierna via Goffredo Mameli), sotto il voltone Teodoli (oggi chiamato della cartoleria Monti), fu pugnalato al ventre.
Domenico Manzoni spirò nella notte alle ore 3 e 30. L’omicida non venne mai identificato, benché fosse stato promesso un cospicuo premio in denaro a chi avesse fornito informazioni utili. Varie furono le ipotesi avanzate riguardo al movente dell’uccisione. Ci fu chi affermò che la mano assassina fosse stata mossa dalla fame, avendo il Manzoni realizzato notevoli proventi speculando sul prezzo del grano. Altri ritennero che il potente uomo d’affari fosse stato invece ucciso da un sicario, assoldato da uno dei suoi numerosi nemici.
Dal canto suo lo storico Oliverotto Fabretti sostenne che a condannarlo a morte fosse stata la Carboneria forlivese, la “Vendita dell’Amaranto”, a cui il Manzoni aveva inizialmente aderito. Il faentino, che per meglio coltivare i propri interessi economici se ne era poi distaccato per legarsi al governo pontificio, andava per questo eliminato.
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