Il 9 maggio è un giorno impresso nella memoria di molti italiani. Il 9 maggio del 1978, il corpo senza vita del presidente della DC Aldo Moro veniva ritrovato in una Renault 4 rossa parcheggiata in via Caetani, a Roma. Dopo un sequestro durato quasi due mesi, a pochi passi dalle sedi di DC e PCI, si concludeva così uno dei delitti più inquietanti dell’intera storia repubblicana. Esattamente a 37 anni di distanza, in quello che ora è il Giorno della memoria delle vittime del terrorismo, il Cinema Teatro Moderno di Savignano sul Rubicone riapre il dibattito con lo spettacolo-inchiesta di Ulderico Pesce moro: i 55 giorni che cambiarono l’Italia.
Sì, moro con l’iniziale minuscola. Così recita il titolo, come se quel cognome contenesse la radice del verbo morire e il destino fosse già scritto. “Non l’hanno ucciso le Brigate rosse, Moro e i ragazzi della scorta furono uccisi dallo Stato.” È attorno a questa affermazione shock che si sviluppa lo spettacolo scritto, diretto e interpretato da Ulderico Pesce. Il testo si basa sulle indagini del giudice Ferdinando Imposimato – titolare dei primi processi sul caso Moro – che compare in video e rivela le terribili scoperte della sua inchiesta. Tra queste, l’interesse di molti a sacrificare il presidente DC per frenare la politica del compromesso storico e salvaguardare i segreti di Stato. Lo stesso statista ne pare convinto. “Il mio sangue ricadrà su di voi, sul partito, sul Paese” scrive in una delle sue ultime lettere. “Chiedo che ai miei funerali non partecipino né autorità dello Stato, né uomini di partito.”
Il racconto scenico parte dai fatti del 16 marzo 1978 quando Moro viene rapito e muoiono gli uomini della scorta Francesco Zizzi, Domenico Ricci, Giulio Rivera, Oreste Leonardi e Raffaele Iozzino. Quest’ultimo, quando viene colpito, indossa un orologio regalatogli dal fratello Ciro per la Cresima. È proprio scorgendo in tv quell’orologio che Ciro capisce l’accaduto: il cinturino spunta sotto un lenzuolo steso a terra per coprire una vittima della strage. Travolto dalla rabbia, rintraccia il giudice Imposimato per chiedergli spiegazioni. Le sue domande si intrecciano a quelle della famiglia di Francesco Zizzi, caduto al primo giorno di lavoro. Il confronto con il giudice rende evidenti le tante anomalie del caso e dà corpo a una spiegazione atroce: e se le morti di Moro e degli agenti fossero state “assecondate” dai più alti esponenti dello Stato con la collaborazione dei servizi segreti americani?
Ulderico Pesce (Rivello, Potenza, 1963) è autore, narratore e regista teatrale. Allievo dell’Accademia di Teatro di Mosca diretta da Anatolij Vasiliev, come attore ha lavorato con Luca Ronconi, Carmelo Bene, Giorgio Albertazzi, Giancarlo Sbragia, Gabriele Lavia, Franco Branciaroli e altri. Ha portato in scena testi di Amelia Rosselli, Rocco Scotellaro e Alessandro Baricco, e con i suoi spettacoli dedicati al passato recente e al controverso presente del nostro Paese ha partecipato ai più importanti festival internazionali. Di lui ha scritto Rodolfo Di Giammarco (la Repubblica): “Ulderico Pesce, un attore come ce ne sono pochi, un artista ‘impossibile’ che sarebbe piaciuto a Italo Calvino, un raccontatore tenace che avrebbe colpito Natalia Ginzburg, un conferenziere poetico che avrebbe incuriosito Pasolini”.
Ferdinando Imposimato (Maddaloni, Caserta, 1936) ha seguito, come giudice istruttore del Tribunale di Roma, l’inchiesta sulla strage di via Fani e il sequestro e l’assassinio di Aldo Moro. Si è occupato di lotta ai sequestri di persona, terrorismo, mafia, camorra, dell’omicidio di Vittorio Bachelet e dell’attentato a Giovanni Paolo II. Ha istruito il processo a Michele Sindona ed emesso, nel 1981, la prima sentenza-ordinanza contro la banda della Magliana. Nel 1983, dopo l’assassinio del fratello Francesco da parte di Cosa nostra per una vendetta trasversale, è costretto a lasciare il Paese ed è nominato rappresentante italiano all’Unione europea per il contrasto al terrorismo internazionale. Dal 1987, per tre legislature, è eletto al Parlamento come indipendente di sinistra e fa parte della Commissione antimafia. Dopo il rientro in magistratura, è stato giudice della corte di Cassazione, dove ha raggiunto il grado di presidente onorario aggiunto. Grand’ufficiale dell’ordine al merito della Repubblica italiana, è autore di numerosi saggi, tra cui I 55 giorni che hanno cambiato l’Italia (Newton Compton, 2013).
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