Un’avventura imprenditoriale che oggi è diventata grande, ma è nata 40 anni fa da nove donne armate solo di onestà, principi e l’incrollabile desiderio di costruire il proprio destino con le proprie mani
Il periodo è la metà degli anni Settanta. Nelle foto lo capisci dalle pettinature, dagli abiti, ma anche dal sorriso. È aperto e allo stesso tempo determinato, ha quella luce che nessun social network può restituire con tutti i suoi algoritmi di miglioramento automatico. Sarà la fiducia nel futuro, che oggi manca. Sarà l’incoscienza di quelle donne che volevano costruirsi un domani migliore, senza lauree e capitali, armate solo di tanta buona volontà e di una bicicletta in spalla. E magari intanto cambiare il mondo.
“Cooperativa Pulizie Ravennate”, ovvero Copura, oggi dà lavoro a 1.100 persone. Il gruppo fattura 70 milioni di euro, ma non ha dimenticato quelle donne. Il video in cui Lidia Milina e Paola Coatti (all’epoca presidente e vicepresidente) raccontano come iniziò quell’avventura è un piccolo grande esempio di storia della cooperazione. Certo, a quarant’anni di distanza il movimento cooperativo è molto diverso, sono finite le ideologie, ma il monito rimane. Perché in fondo i bisogni sono gli stessi, le nuove storie che sono da scrivere somigliano a quella. E i protagonisti di oggi hanno molto da imparare da quella grinta e da quella volontà.
Il racconto che fanno Livia e Paola – a più di 80 anni splendide e lucidissime – è intriso di parole che non si sentono più: gruppo, responsabilità, futuro, sociale.
Si avverte la difficoltà del compito, la durezza delle condizioni e anche dei giudizi tra colleghe. Donne bravissime che però pulivano alla vecchia maniera. E non c’è niente di più difficile di dire a una donna (lo dicono loro, sorridendo) che deve cambiare modo di pulire. Ci sono i conti, i numeri, i rapporti col sindacato, l’ansia di riuscire a pagare gli stipendi a fine mese e l’orgoglio di non aver mai dovuto far ricorso alle banche. Con il metro di questo presente vacuo alcune scelte è difficile comprenderle: gli altri prima di se stessi, l’onestà prima del profitto, il bene collettivo avanti al vantaggio personale. Persino la cooperativa prima della famiglia. Ma il limite è tutto nostro, di cooperatori e giornalisti moderni. Non loro, di donne che la cooperazione l’hanno “fatta” veramente.
Oggi Copura si occupa di molte altre cose, ha società che si occupano di “facility”, di igiene ambientale, costruzioni e movimentazione terra. Però l’attuale presidente Corrado Pirazzini, così come la vicepresidente e direttrice amministrativa Vannia Soave, ricordano bene quegli anni eroici. Ne vanno orgogliosi, giustamente, perché la loro storia distende le radici in quell’humus. Sentimentalismo di maniera? No, la forma è sostanza, non solo in diritto. Se questo gruppo dirigente ha investito nello sviluppo della cooperativa, senza prendere la strada della crescita a tutti i costi, è anche perché certe scelte che qualche anno fa sembravano “sbagliate” e oggi si rivelano giuste affondano in quell’orgoglio e in quella cultura. Non è un caso.
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