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Quella foto è un monito

La foto del cadavere del bambino curdo sulla spiaggia di Bodrun, quella della bimba che alza le mani davanti al cordone di polizia, lo sgambetto dell’operatrice tv ungherese a un profugo col figlio in braccio… Il dramma dei migranti in fuga verso l’Europa ci ha infisso nella mente immagini sconvolgenti. Molti hanno criticato la diffusione degli scatti più crudi, in particolare quello del piccolo Aylan riverso senza vita sulla sabbia, osservando in buona sostanza che non aggiungono nulla a quello che sappiamo già, sono solo un sovrappiù di sensazionalismo utile a scatenare un’indignazione usa e getta e a incrementare i clic su qualche sito. Ma quelle stesse immagini consumate dall’uso mediatico e allo stesso tempo esaltate dal tentativo di nasconderle pietosamente hanno influito pesantemente sul cambio di orientamento dell’opinione pubblica. Alcuni politici se ne sono accorti ed hanno reagito prontamente. Altri ne hanno comunque dovuto tener conto, esponendosi con imbarazzati distinguo sull’accoglienza dovuta ai profughi anche se non ai ‘migranti economici’.
Si è scomodato il paragone con l’icona della bimba vietnamita in fuga sotto i bombardamenti americani. Non fu forse quella l’immagine che fece cambiare il ‘vento’ negli Stati Uniti, ma interpretò potentemente quel momento storico e risiede ancora nella nostra coscienza storica. Così sarà sicuramente per la terribile foto della tragedia di Bodrun. Un monito contro l’insensibilità e l’esclusione, contro la disumanità dei muri. E per questo è stato giusto pubblicarla e guardarla.

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