da La Romagna Cooperativa – marzo 2016
Nell’esplorazione delle nuove frontiere dell’informazione (in tema di modalità, contenuti ed anche di riscontro economico) da qualche tempo si fa un gran parlare di long form journalism. Si tratta di uno quei concetti passepartout che copre un vasto ambito, ma che in italiano qualcuno declina come giornalismo d’approfondimento e qualche altro come giornalismo narrativo. È in buona sostanza esattamente l’opposto della parcellizzazione e della grandinata di news che riscontriamo sulle home page dei siti informativi italiani (per non parlare della famigerata “colonna di destra” dei siti stessi, ricolma di “notizie speziate” tra gossip, mostri marini e gattini). In realtà questo giornalismo d’inchiesta che non si esaurisce in poche righe c’è sempre stato, in particolare negli Usa. Ora trova un nuovo ecosistema favorevole nella rete: più spazio, più libertà, costi contenuti, possibilità di implementazione continua e feedback coi lettori. L’aspetto grafico, in tute le sue possibili varianti, è un ulteriore elemento di arricchimento (pensiamo alla geolocalizzazione).
L’estremizzazione di questo modello è incarnata da alcuni siti a pagamento che offrono ai lettori una o due inchieste al giorno. La sostenibilità economica di queste iniziative è però discutibile. In molti casi i siti di long form journalism sono sostenuti di fondazioni, sponsor o raccolte di denaro in rete. L’integrità e la qualità, come sempre accade, si pagano a caro prezzo. La speranza è che il modello, come sta già avvenendo negli Usa, contamini i siti delle grandi testati emancipandoli dalla schiavitù del click-baiting, l’ossessione per il numero delle visualizzazioni.
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