Il 3 giugno 1879 nasceva a Forlì Manlio Morgagni, giornalista, fratello dell’oggi più celebre Tullo, ideatore del Giro d’Italia. Figlio di un’agente d’assicurazioni di tendenze mazziniane, nel 1897, dopo il diploma di scuola commerciale, Manlio si trasferì a Milano alla ricerca di un lavoro. Nel 1912 divenne ispettore generale delle Messaggerie italiane e nel 1918 si sposò con Luigia Pozzoli, che aveva conosciuto quattordici anni prima. Di formazione socialista, nel 1914 si schierò a favore dell’intervento dell’Italia nella Prima guerra mondiale. Iniziò l’attività giornalistica nel quotidiano «Il Popolo d’Italia», fondato da Benito Mussolini, di cui Morgagni fu sempre grande ammiratore e sostenitore. Già nel 1919 un rapporto inoltrato alla Presidenza del Consiglio indicava Morgagni come uno dei principali intermediari tra Mussolini e gli ambienti politici francesi che contribuirono al finanziamento del giornale. Dal 15 novembre 1914 al 1919 fu direttore amministrativo del quotidiano; poco dopo la fondazione dei Fasci italiani di combattimento l’incarico passò ad Arnaldo Mussolini mentre Morgagni si dedicò alla raccolta pubblicitaria.
Fu in quello stesso periodo che cominciò a frequentare la casa del futuro Duce. Morgagni inoltre riceveva spesso telefonate da Rachele Guidi, moglie di Mussolini, che si interessa all’amministrazione del «Popolo d’Italia», al contrario del marito che non aveva grande dimestichezza con i conti. Donna Rachele verificava i conti, assicurandosi che tutte le uscite fossero giustificate alla lira.
Nelle sue memorie Morgagni asserì di essere stato tra i fondatori dei Fasci italiani, al contrario altre fonti sostengono che egli non partecipò alle prime adunanze del gruppo ma che, grazie all’intervento di Mussolini, ottenne il permesso di essere inserito tra i “sansepolcristi”, ossia ai cosiddetti fascisti “delle origini”, quelli che si ispiravano ai principi enunciati da Benito Mussolini il 23 marzo 1919 all’atto di fondazione dei Fasci Italiani di Combattimento, durante l’adunata di piazza San Sepolcro a Milano, quindi pubblicati su «Il Popolo d’Italia» il 6 giugno 1919.
Giulitta Monti, madre di Manlio e Tullo, maestra elementare e insegnante nelle scuole superiori, aveva avuto fra le sue allieve Rosa Maltoni Mussolini, madre del Duce. Forse anche per questo Manlio Morgagni divenne in fretta esponente di primo piano del fascismo a livello nazionale. Essendo amico intimo di Mussolini poté ricoprire ruoli delicati e di prestigio tra cui: consigliere comunale (1923-1926) e vicepodestà (1927-1928) di Milano, nonché presidente della Commissione per l’abbellimento della città; cofondatore, con Arnaldo Mussolini, e direttore, della Rivista illustrata del «Popolo d’Italia»; fondatore della rivista agraria «Natura» (1928); senatore del Regno dal 1939; presidente della Società Anonima Costruzioni Ettore Benini.
Tuttavia la notorietà di Manlio Morgagni ebbe un’impennata quando divenne presidente e direttore generale dell’Agenzia Stefani, la prima agenzia di stampa italiana, fondata da Guglielmo Stefani nel 1853. Morgagni ricoprì questo incarico a partire dal 1924 e sotto la sua guida l’agenzia si sviluppò notevolmente, ottenendo importanza anche a livello internazionale, come dimostrano i numeri: nel 1924 l’agenzia possedeva 14 sedi in Italia, 160 corrispondenti in patria e 12 all’estero, mentre nel 1939 le sedi italiane erano diventate 32 e quelle all’estero 16, con 261 corrispondenti dall’Italia e 65 dall’estero.
Morgagni, definito “il megafono del fascismo”, era all’apice della sua carriera. Nel frattempo la sua stima e la sua amicizia per il Duce erano cresciute a dismisura. Il capo del fascismo ricambiava i sentimenti per il conterraneo e di lui si fidava ciecamente. «La mia prima lettura del mattino – sosteneva Mussolini – sono le cartelle della Stefani».
Grazie al ruolo rivestito alla Stefani, la posizione di Morgagni andò sempre più rafforzandosi all’interno del regime, causandogli ovviamente l’ostilità di molti gerarchi che mal sopportavano la sua smaccata esaltazione per il Duce: il 16 aprile 1943, ad esempio, dalle colonne del «Regime fascista», Roberto Farinacci descrisse la Stefani come «un’agenzia personale d’affari».
Il 26 luglio 1943, all’indomani della notizia dell’arresto del Duce su ordine del re e della nomina di Badoglio a capo del governo, nella sua casa di via Nibby a Roma, Manlio Morgagni si tolse la vita sparandosi un colpo di pistola, non prima di aver lasciato queste righe indirizzate a Mussolini:
«Mio Duce! L’esasperante dolore di italiano e di fascista mi ha vinto! Non è atto di viltà quello che compio: non ho più energia, non ho più vita. Da più di trenta anni tu, Duce, hai avuto tutta la mia fedeltà. La mia vita era tua. Ti ho servito, un tempo, come amico, ho proseguito a farlo, con passione di gregario sempre con devozione assoluta. Ti domando perdono se sparisco. Muoio col tuo nome sulle labbra e un’invocazione per la salvezza dell’Italia. Morgagni».
Nel suo testamento si legge: «Se proprio la mia giornata dovesse aver termine, Bice (moglie di Manlio Morgagni, ndr) sappia … ho amato religiosamente la famiglia e un uomo: Benito Mussolini. A lui ho dedicato metà della mia vita».
A Manlio e Tullo Morgagni, al Cimitero Monumentale di Milano è dedicato un artistico monumento funebre, realizzato da Enzo Bifoli, sul quale spicca un’epigrafe dettata personalmente da Benito Mussolini: QUI / NEL SONNO SENZA RISVEGLIO / RIPOSA / MANLIO MORGAGNI / GIORNALISTA / PRESIDENTE DELLA STEFANI / PER LUNGHI ANNI / UOMO DI SICURA INTEGRA FEDE / NE DIEDE MORENDO / TESTIMONIANZA / NEL TORBIDO 25 LUGLIO 1943
Con il naso all’insù
A Forlì, in via Giacomo della Torre, all’interno del “recinto” del vecchio Ospedale “Morgagni” si trova il Padiglione Maternità “Giulitta Morgagni Monti”, voluto da Manlio Morgagni in memoria della madre. Nel 1939, il progetto del padiglione fu curato dall’architetto Aldo Zacchi, originario di Cesena, trasferitosi a Milano. La struttura in cemento armato era distribuita su tre corpi serviti da un lungo corridoio centrale e composta da 90 stanze e 45 “appartamenti” (camere con bagno per dozzinanti). L’architetto Zacchi, pur ricalcando la concezione architettonica del regime, mirò ad armonizzare la nuova costruzione inserendola nel modulo preesistente che richiedeva la formula interrato, piano rialzato e primo piano.
La realizzazione del reparto ricevette grande eco su tutta la stampa locale. Anche lo storico Antonio Mambelli annotò nel suo diario che si trattava di «uno dei doni più cospicui e utili alla città».
L’edificio fu consegnato ufficialmente all’ospedale nel 1940, nonostante i lavori siano stati poi completati solo nel 1949, con ulteriori ampliamenti, voluti da Lucia Paolozzi, vedova di Manlio Morgagni.
Per celebrare la munifica elargizione, l’amministrazione dell’ospedale incaricò lo scultore Giuseppe Casalini di realizzare un’opera da collocare all’ingresso del padiglione. L’artista romagnolo creò La madre, una raffinata composizione raffigurante una donna con il bambino tra le braccia. L’altorilievo è tuttora visibile nella stessa posizione in cui venne collocato. Sotto l’opera di Casalini sul marmo sono incise queste parole:
PERCHÉ POSSANO LE MADRI / ESSERE ASSISTITE / E I FIGLI CRESCERE / PER LA PATRIA E PER LA FAMIGLIA / IN PERENNE MEMORIA E IN SICURO ONORE / DELLA MADRE SUA / GIULITTA MONTI MORGAGNI / DONNA DI ESEMPIO CHIARISSIMO / SAGGIA EDUCATRICE DI GIOVANI / E IN DEVOZIONE AL PADRE SUO / ANDREA / UOMO DI ALTE VIRTÙ CIVILI E MORALI / IL FIGLIO MANLIO MORGAGNI / QUESTO PADIGLIONE ERESSE / E DONÒ ALL’OSPEDALE / IN SEGNO DI GRATITUDINE ETERNA / L’AMMINISTRAZIONE OSPEDALIERA / CONSACRA IL RICORDO / DELLA MUNIFICA ELARGIZIONE / DELL’ANNO 1939
In tempi recenti, su progetto dell’architetto Romano Pretolani e dell’ingegnere Maurizio Berlati, il padiglione è stato recuperato e destinato a sede della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Bologna Sede di Forlì. Successivamente è intervenuta sull’edificio la stessa equipe di tecnici che ha seguito i lavori di ristrutturazione e trasformazione in Campus Universitario dell’ex Ospedale “Morgagni”: Lamberto Rossi (capogruppo), Massimo Galletta, Roberto Lazzarini, Marco Tarabella e Paolo Zilli.
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