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Il salvataggio dell’Ebe

IL SALVATAGGIO DELL’EBE
(Tratto dal libro di prossima uscita “Fatti e misfatti di Forlì e della Romagna” di Marco Viroli e Gabriele Zelli)

Passato agli annali della storia di Forlì il rifiuto dell’amministrazione al trasporto dell’Ebe a Milano per essere esposta al Padiglione Italia dell’Expo 2015, a cavallo tra la fine del 2016 e i primi giorni del 2017, il capolavoro di Antonio Canova sarà al centro di una mostra dal titolo “Il viaggio di Ebe” ai Musei San Domenico. Vale la pena ricordare che se oggi possiamo ammirare l’Ebe in tutta la sua grazia e bellezza, a 200 anni dal giorno in cui venne commissionata dalla contessa Veronica Zauli Naldi Guarini di Forlì al celeberrimo scultore veneto, è perché durante il Secondo conflitto mondiale ci fu chi si preoccupò di nasconderla e di salvarla, mettendo a rischio e pericolo la propria vita. La splendida opera, oggi tra i simboli della nostra città, si salvò infatti perché venne occultata a Borgo Sisa, all’interno della Villa Sisa di proprietà dello scrittore Antonio Beltramelli, murata nella volta di una rimessa della fattoria, dopo essere stata accuratamente “imballata” in un’incastellatura di legno.

Per ricostruire le vicende del salvataggio di questo straordinario capolavoro è fondamentale fare ricorso al diario di Antonio Mambelli il quale, nonostante i pericoli a cui andava incontro, visitò costantemente i luoghi scelti per trasferire il patrimonio degli Istituti Culturali. Nello specifico Mambelli riporta con dovizia di particolari i momenti più tragici che sconvolsero e distrussero parte di Villa Sisa. Dalle sue parole è ancora oggi possibile comprendere la tragicità di quei momenti e l’apprensione dello storico per il destino delle opere d’arte forlivesi.

Nella notte fra il 28 e il 29 ottobre 1944, all’una di notte, «a corollario di tutta una serie di devastazioni – scriveva Mambelli – i tedeschi hanno fatto saltare la Sisella con otto mine, dopo aver lasciato pochi minuti di tempo agli sfollati e a Maria Beltramelli (sorella dello scrittore) di porsi in salvo nel buio. Fatta eccezione di parte della biblioteca e di alcune opere d’arte, ritirate e riposte altrove qualche giorno prima, tutto il vecchio mobilio, il nuovo sono andati distrutti. Il comando tedesco insediato nell’ambiente signorile, aveva impedito a chiunque l’accesso, alla padrona compresa, cui era stato consentito di alloggiare nel cantinato. In tal modo sono finite nelle macerie le collezioni giapponesi, i cristalli di Boemia e una pregevole suppellettile orientale raccolta da Antonio Beltramelli. La Sisella era un edificio di tipo esotico, sormontato da una specie di lanternone, in complesso non alto, costruito nel parco della Sisa secondo le indicazioni lasciate dallo scrittore. Figuravano all’esterno alcuni motti e una statua della Venere giapponese dello scultore faentino Drei; il suo abbattimento, con quanto conteneva, si spiega solo con la barbara indole dei discendenti di Attila: diciotto guastatori hanno compiuto l’impresa.

Il municipio, proprietario dell’insieme per una convenzione con Maria Beltramelli, aveva speso notevoli somme a costruire la Sisella, che a vero dire rappresentava una stonatura, e nel restauro della vecchia villa, destinata, nell’intento, a residenza d’un pensionato studentesco beltramelliano: tutto è andato ora perduto dell’edificio e anzi pare che i tedeschi volessero minare il restante del caseggiato, come hanno fatto delle case coloniche contigue, ove un contadino è morto nel tentativo di salvare il solo vitello rimastogli. Mandando ad effetto il disegno avremmo perduta l’Ebe di Antonio Canova, collocata, con protezione murale, in un magazzino della fattoria. I tedeschi, stabilitisi alla Sisa hanno fra l’altro rubato un vaso d’argento giapponese a smalto, un elmetto giapponese con ornamenti d’oro, bruciato collezioni di riviste e giornali, manomessa in ogni modo la proprietà. La Sisa vecchia, mitragliata dagli inglesi il 1° ottobre, indi spezzonata, è resa ora inabitabile; (…) ciascuno dei nove comandi germanici, ivi succedutisi, hanno lasciato un’impronta del loro soggiorno: doveva pure insediarsi lo stato maggiore di Kesselring, ma l’ambiente fu trovato troppo piccolo. I tedeschi hanno semidistrutto inoltre l’edificio scolastico e si sono serviti della tomba dello scrittore, all’estremità del parco, come rifugio e da postazione di mitragliatrici».

Se «la barbara indole dei discendenti di Attila» diede il peggio di sé in quella e in molte altre occasioni, c’è da dire che purtroppo i soldati degli eserciti alleati non furono da meno. Il 7 dicembre 1944, infatti, «i canadesi manomettono quanto rimane» di Villa Sisa e «invano Maria Beltramelli invoca soccorso». Circa tre mesi dopo, il primo marzo 1945, l’Ebe di Antonio Canova verrà recuperata e riportata in Pinacoteca. Le condizioni della scultura erano buone, nonostante «la testa fosse tutta bagnata e leggermente distaccata, a differenza del busto e del restante del corpo, perché sovrapposta, ad effetto dell’esplosione allorché i tedeschi fecero saltare la Sisella».

Mentre un’opera di grande rilevanza artistica come l’Ebe, tutto sommato integra, tornava al suo posto, alla Sisella proseguirono le spoliazioni da parte dei canadesi, «nonostante gli sforzi del custode e l’invocazione a un intervento delle autorità municipali». Ai soldati si aggiunsero i civili, «costoro, giovani i più, sono scesi da Ravenna, dalle Carraie, da Santo Stefano ad asportare libri dalla biblioteca Beltramelli che moltissimi ne aveva, per costituire fondi ad uso dei circoli di quei luoghi; scomparsa è fra l’altro l’edizione nazionale degli Scritti di Mazzini. Quanto rimane di quel tesoro è ora ammonticchiato in uno stanzone della stessa fattoria, ma molto di più poteva essere salvato, sennonché ci troviamo in condizioni tuttora di non potervi attendere, inoltre i soldati di stanza sono prepotenti».

Ciò nonostante fortunatamente si riuscì a salvare qualcosa, come la raccolta di incisioni giapponesi consegnate da Maria Beltramelli alla pittrice Gianna Nardi Spada (Ravenna 1900-Forlì 1979), che come pure il pittore Maceo Casadei (Forlì 1899-1992), aveva trovato rifugio per un certo periodo alla Sisella.

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