Gli albanesi ce l’hanno fatta

Un bel programma di Rai Storia (incredibile: esiste ancora un servizio pubblico che fa a meno dello share e altre droghe mediatiche) ha raccontato l’odissea degli albanesi che venticinque anni fa sbarcarono sulle coste pugliesi. Ventimila disperati in fuga dall’ultima prigione stalinista d’Europa a bordo di una carretta del mare. Fu il primo impatto con quella che poi è diventata, senza soluzione di continuità, l’emergenza immigrazione (ma è normale che ci sia un’emergenza che dura venticinque anni? I politici non se lo chiedono, i giornalisti neppure. Speriamo se lo chiedano i cittadini prima o poi). Immagini sconvolgenti che molti hanno ancora negli occhi: gente affamata e stracciata che scende da un bastimento arrugginito, donne e bambini concentrati come bestie nello stadio di Bari, disperati che sciamano in città alla ricerca di un Eldorado che hanno intravisto solo in tv dalla prigione dell’ultimo regime stalinista d’Europa. All’epoca gli albanesi erano il pericolo, lo straniero, il barbaro, l’invasione… I media veicolarono lo stereotipo dell’albanese sanguinario, violento per natura e per cultura. E albanese divenne sinonimo di criminale. Poi, passati pochi anni, quasi per magia, gli allarmi migratori puntarono su altri obiettivi. Gli albanesi sparirono dall’album dei cattivi. Pur rimanendo una delle comunità straniere più numerose in Italia. E tra le più integrate. Come testimonia una dei volti del documentario di Rai Storia, il ballerino Kledi Kadiu, volto noto della tv lanciato da Maria De Filippi. Sulla ‘Vlora’ partita da Durazzo con la speranza di una vita migliore c’era anche lui.

 

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Foto tratta dal documentario “La nave dolce” di Daniele Vicari

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Emanuele Chesi

Emanuele Chesi è capo della redazione del Resto del Carlino di Cesena. Per Romagnapost scrive di media, in particolare del rapporto tra informazione e politica, e di tutto quello che gli viene in mente.