CALLIMACO ZAMBIANCHI DETTO L’AMMAZZAPRETI” E I SUOI FRATELLI GIULIO E ANTONIO
Dei tre fratelli Zambianchi il maggiore e forse il più conosciuto fu Callimaco, nato a Forlì il 30 dicembre 1811. Divenuto sin da giovanissimo un fervente patriota, dopo aver partecipato ai moti rivoluzionari scoppiati in Romagna tra il 1831 e il 1832, fu costretto all’esilio. Si rifugiò in Francia, dove rimase dal 1832 al 1843. Fu in questi anni che maturarono in lui molti degli ideali che condivise con Giuseppe Garibaldi. Dalla Francia si imbarcò per Montevideo e in Sudamerica combatté nella Legione italiana, fondata da Garibaldi che lo promosse ufficiale per meriti conseguiti in campo. Nel 1848 fu al fianco dell’Eroe dei Due Mondi in Lombardia e l’anno successivo fu a Roma, contribuendo alla difesa della Repubblica Romana, distinguendosi, come raccontano le cronache, per «aver seminato il terrore tra la popolazione sul confine napoletano, l’arresto indiscriminato di sacerdoti e cittadini influenti» che fece rinchiudere nel carcere di Terracina. Alcune cronache raccontano che l’energico romagnolo durante l’esperienza della Repubblica Romana si fosse guadagnato la fama di terrore dei preti, poiché ne aveva fatti fuori ben otto. Dopo la caduta della Repubblica Romana, durante la ritirata dei garibaldini a San Marino, Callimaco venne ferito ma ben presto si ristabilì in forze.
Esule prima in Inghilterra poi in Argentina, nel 1858, a Buenos Aires fondò Unione e Benevolenza, un’istituzione benefica, sanitaria e di istruzione a favore dei tanti connazionali emigrati in quel lontano paese d’oltreoceano. L’anno seguente lanciò un proclama indirizzato a tutti gli italiani d’Argentina perché si imbarcassero per fare ritorno al paese d’origine e combattere per l’Unità.
All’inizio del 1860 fu a Genova con Garibaldi. Nello stesso anno prese parte alla spedizione dei Mille. Scrive di lui lo storico forlivese Vittorio Mezzomonaco: «si trattava di uno di quei tipi dei quali in Romagna si dice:”Meglio perderlo che smarrirlo”. Il suo nome veniva pronunciato sottovoce e sempre con grande imbarazzo. (…) Callimaco Zambianchi, nostro sciagurato concittadino, tristemente noto alle cronache del tempo come “ l’Ammazzapreti”, (…) molto si era distinto, per i suoi eccessi omicidi, nella difesa di Roma nel 1849. Politicamente inquadrabile come repubblicano e “mazziniano estremo”».
Partiti da Quarto il 5 maggio 1860, a bordo dei piroscafi Piemonte e Lombardo, Giuseppe Garibaldi e i suoi volontari si accorsero che i contrabbandieri genovesi avevano approfittato del caos della partenza per far sparire l’unica barca che trasportava munizioni. Il generale si rese conto di avere a disposizione solo fucili inservibili e decise così di approdare in Toscana. Fu Giuseppe Bandi, garibaldino facente parte della spedizione, a suggerirgli di fermarsi a Talamone, una piccola frazione, composta da poco più di quattro case arroccate sul porto. Qui, su ordine diretto del generale Callimaco Zambianchi venne messo a capo del gruppo di volontari che avrebbe dovuto compiere un’azione diversiva puntando sullo Stato pontificio per scatenare l’insurrezione popolare. Purtroppo l’operazione fallì e Zambianchi venne fatto arrestare da Cavour che temeva un’eventuale rottura di rapporti con la Francia, alleata dello Stato della Chiesa. In tanti si chiesero il motivo della scelta di assegnare un tale compito a Zambianchi, tra questi il già citato Vittorio Mezzomonaco che scrive: «come mai Garibaldi abbia potuto affidare un incarico così delicato e difficoltoso ad un simile personaggio (“un confusionario incompetente”). La risposta gliela dà implicitamente Giuseppe Bandi: “Per togliersi di torno un uomo che non gli piaceva”».
Fu lasciato in carcere fin dopo la battaglia di Castelfidardo, avvenuta il 18 settembre 1860, nel corso della quale i piemontesi, guidati dal generale Cialdini, sbaragliarono le truppe del generale Lamoricière poste a difesa dello Stato Pontificio. Scarcerato nel 1861, Zambianchi venne mandato in esilio prima a Londra da dove si imbarcò di nuovo alla volta dell’Argentina. Morì a Cordoba, il 13 febbraio 1862, poco dopo la vittoria dell’amico Bartolomé Mitre nella battaglia di Pavòn e la proclamata indipendenza argentina.
Anche gli altri fratelli Zambianchi ebbero ruoli importanti nella vita locale e nazionale, a partire da Giulio (1817-1886), il quale fu un tecnico di grande valore, nonché consigliere e assessore comunale nel 1883, troppo presto dimenticato pur essendo stato molto attivo a Forlì nella seconda metà del XIX secolo.
Tra le varie realizzazioni che contribuì a progettare in città vanno citate: la ricostruzione della Cattedrale nella configurazione architettonica che tuttora ammiriamo, salvo le cappelle della Madonna del Fuoco e del Crocefisso, mantenute inalterate, un progetto al quale si dedicò quando era appena trentenne; la prima sede dell’Amministrazione Provinciale di via delle Torri, ora sede di uffici comunali; la ristrutturazione del lato di Palazzo Guarini Matteucci (ora Foschi) realizzandola come la vediamo oggi; il ponte che collega la via Ponte Rabbi con la via Carlo Forlanini, unico tra i ponti della città che, nel 1944, i tedeschi in ritirata non riuscirono a distruggere pur avendolo minato.
Tra il 1868 e il 1873, mentre era ingegnere capo della Provincia, lavorò inoltre alla ristrutturazione dell’edificio che sorge nell’attuale corso Mazzini e che era la parte adibita a convento di un più ampio complesso che comprendeva la Chiesa del Carmine. Lo stabile fu acquisito dalla Provincia e, in seguito a una radicale trasformazione, fu destinato a diventare sede della Regia Caserma dei Carabinieri, funzione che da allora ha mantenuto fino ai giorni nostri.
Il terzo fratello Zambianchi, Antonio (1814-1892), fu un insigne medico e a lui si devono numerose pubblicazioni scientifiche. Nel 1848 fu eletto segretario del Circolo Popolare e vice presidente del Comitato Elettorale Forlivese, accanto ad Aurelio Saffi, e rappresentante di Forlì alla Costituente Romana di cui divenne segretario insieme a Quirico Filopanti. Caduta la Repubblica, Antonio andò esule in Piemonte, dove gli furono affidati prestigiosi incarichi in campo medico sanitario. In particolare occupò posizioni di rilievo in quello che era il Ministero della Sanità del Regno di Piemonte. Dopo la proclamazione dell’Unità d’Italia ritornò a Roma dove ricoprì il ruolo di Segretario generale del Consiglio Superiore della Sanità.
Marco Viroli e Gabriele Zelli
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