Spesso, se non sempre, prendono il sopravvento i toni populisti. Ma questo è un problema in generale della politica che, sempre di più (ma non da ora) preferisce questo tipo di scorciatoia per accaparrare voti. È un problema che non è circoscritto a qualcuno. Riguarda tutto l’arco costituzionale. In linea di massima Grillo e Salvini sono ritenuti i principali esponenti. Ma populista è anche Renzi quando, ad esempio, promulga quella legge sull’abolizione della prima casa.
Quella di Borello (dove viene contestato l’invio di un certo numero di profughi) è l’ennesima forma di protesta locale. Non è la prima e non sarà neanche l’ultima. Il fenomeno dei comitati l’ho conosciuto in tutte le sfaccettature. Pur non condividendo la totale assenza di una visione complessiva – e spesso i toni – li ho sempre guardati con interesse. In modo particolare quando erano solo l’espressione di una sensibilità civica.
Adesso ho invece l’impressione che queste forme di protesta vengano cavalcate per farci una lotta politica. E che spesso siano strumentalizzate. Non che i partiti non facciano bene a intervenire. È il loro lavoro. Anzi, lo devono fare. Il problema è l’approccio.
Spesso, se non sempre, prendono il sopravvento i toni populisti. Ma questo è un problema in generale della politica che, sempre di più (ma non da ora) preferisce questo tipo di scorciatoia per accaparrare voti. È un problema che non è circoscritto a qualcuno. Riguarda tutto l’arco costituzionale. In linea di massima Grillo e Salvini sono ritenuti i principali esponenti. Ma populista è anche Renzi quando, ad esempio, promulga quella legge sull’abolizione della prima casa, una scelta che,per come è stata fatta, mi fa venire l’orticaria.
Il problema principale è che il populismo fa il paio con la demagogia. C’è poi un altro aspetto: spesso è caratterizzato da un rapporto diretto tra un capo carismatico e le masse popolari. È una cosa che non mi piace molto. Anzi, per niente.
Io ho una diversa idea della politica. È chiaro che bisogna partire da valori che devono essere irrinunciabili e che non possono essere uguali per tutti. A quel punto la politica deve diventare l’arte del possibile e deve essere caratterizzata da una natura pragmatica. Si deve mirare alla concretezza, nella situazione data, senza la speranza né di cambiare gli uomini né di far miracoli. La politica richiede tolleranza, compromessi, magari accordi col diavolo. Perché agli elettori in fin dei conti interessano i risultati. In questo la politica è simile alla guerra, dove è ottimo generale colui che sacrifica coscientemente un migliaio di soldati per vincere una grande battaglia.
Se il governo ingiungesse ai capi militari di non cercare di ingannare il nemico, di non sacrificare mai coscientemente un singolo soldato, di essere trasparenti nei loro piani e nei loro comportamenti, chiunque direbbe che quei politici sono dei dementi. E che l’unica conseguenza possibile sarà la sconfitta. Nello stesso modo nella pratica un eccesso di ideali che soffre troppo il solletico può andar bene per la campagna elettorale.
Alla fine, poi, tutti sono così. Perché non c’è altro modo per governare qualsiasi forma di istituzione. Ma nessuno lo dice. È questo non mi piace. C’è poi non solo chi lo dice di meno, ma usa solo slogan e strilli. E questo mi piace ancora meno.
Il mio politico ideale è quello che ha una visione di prospettiva tendente al medio/lungo termine, che ti spiega che il percorso sarà lungo, difficile e irto di difficoltà. Nello stesso tempo dovrà far parte di una struttura a piramide dove non ci sono scorciatoie. Sono un illuso o un sognatore? Può darsi. Ma a volte è meglio sognare che essere strumentalizzato.
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