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Garbin, un cognome molto amato a Forlì

In questi giorni di metà inverno che seguono i “giorni della merla” e precedono il carnevale, Forlì è sede di un grande evento sportivo internazionale: nell’ambito della Fed Cup, nel weekend 11-12 febbraio, la nazionale italiana di tennis femminile se la dovrà vedere con la nazionale di Slovacchia, in un PalaGalassi, ex PalaFiera, trasformato per l’occasione nel campo centrale di un grande impianto tennistico in terra rossa.

In un periodo di passaggio che viene dopo la generazione dei fenomeni (Pennetta e Vinci, solo per citare due nomi), tra le varie novità che la nazionale italiana offre, c’è l’esordio in panchina della capitana non giocatrice Tathiana Garbin che prende il posto di Corrado Barazzutti, vero e proprio monumento vivente del tennis italiano. La Garbin, nata a Venezia il 30 giugno 1977, è un’ex tennista azzurra che vanta un palmares di tutto rispetto, con la ventiduesima posizione raggiunta nel ranking mondiale per la prima volta il 21 maggio 2007.

nella foto: Tathiana Garbin tra il sindaco Davide Drei e l’assessore allo Sport Sara Samorì

La capitana della squadra azzurra di Fed Cup, ospite per una settimana della nostra città, non sa quanto il suo cognome sia già amato e popolare a Forlì, specie tra i forlivesi non più giovani, cresciuti durante e subito dopo la Seconda guerra mondiale.

Nell’ottobre del 1942 un altro Garbin (don Pietro) giunse infatti a Forlì per fondare e dirigere l’Opera salesiana, come voluto dall’allora vescovo, monsignor Giuseppe Rolla. Fu lo stesso Rolla a fare espressamente il nome di Garbin perché il San Luigi prendesse impulso dall’operato di un religioso bravo, moderno ed estremamente preparato. Nella nostra città Garbin fu inoltre fondatore dell’Istituto Orselli e dell’Oratorio San Luigi in via Episcopio vecchio che divenne ben presto il maggior polo di aggregazione cattolica e giovanile della città.

Nato a Saletto di Montagnana (PD) nel 1907, sin da giovanissimo Pietro Garbin mostrò la volontà di dedicarsi alla vita ecclesiastica, frequentando il ginnasio e il liceo al seminario di Padova. Dal 1926 entrò a far parte della congregazione salesiana, diventando educatore e maestro della gioventù. Fu ordinato sacerdote nel 1934 e, dopo aver vissuto a Parma fino al 1940, arrivò in Romagna, prima per una breve permanenza a Faenza (tra il  1941 e il 1942) poi, nell’ottobre del 1942, a Forlì in maniera stabile.
Poco dopo che il trentacinquenne Pietro Garbin fu giunto a Forlì, la città trascorse uno dei periodi più difficili e drammatici della sua storia. Com’è noto, dopo l’8 settembre 1943 il nostro Paese divenne un campo di battaglia. Anche Forlì dovette subire questo stato di cose, vivendo giorni, anzi mesi tragici, tra eccidi nazisti e fascisti, bombardamenti e cannoneggiamenti degli alleati. Sono i mesi di cui con Gabriele Zelli ho scritto nel libro “I giorni che sconvolsero Forlì”, edito da «Il Ponte Vecchio» nel 2014.
Certo è che il grande affiatamento tra «il dinamico vescovo e il giovane sacerdote» (come ha scritto don Franco Zaghini) fu foriero di importanti interventi in città.

Don Pietro incantava i giovani seminaristi con la sua forza d’animo e con un’oratoria a dir poco eccezionale. Poi, durante la guerra, si diede un gran da fare per «liberare sacerdoti e civili da una prigionia che spesso era l’anticamera della morte, nella tragica estate del 1944».
Anche lo storico forlivese Antonio Mambelli ha scritto di don Pietro Garbin nei suoi Diari: «(…) è oggetto di violenze da parte dei tedeschi, costoro sono giunti a tenerlo al muro per mezz’ora sotto la minaccia del mitra. è un giovane d’ingegno, antifascista, pieno di spirito e di iniziative, cui si deve una continua opera di assistenza fervida a favore degli sfollati e dei miseri».
Durante la guerra, l’Opera salesiana, guidata da don Garbin, ospitava fino a 33 famiglie di sfollati e divenne centro di raccolta per tutto ciò che occorreva a militari e civili sia come cibo sia come cure mediche.
Nel palazzo dell’ex GIL, in via dei Mille venne poi aperto l’ospedale “Don Bosco”, gestito dal Comitato di assistenza a profughi e sfollati, dove erano curati coloro che non trovavano posto nell’ospedale cittadino. Il “Don Bosco”, diretto da don Garbin, rimase aperto nei drammatici mesi del passaggio del fronte da Forlì, dall’ottobre 1943 all’8 maggio 1944.
Forlì fu liberata il 9 novembre 1944, ma la sofferenza non era ancora terminata: una data doveva sconvolgere la città e in particolare la comunità salesiana. Il 10 dicembre alcuni bombardieri tedeschi sganciarono bombe ad alto potenziale sul centro abitato. Una di queste, forse nel tentativo di colpire i mezzi alleati parcheggiati nella piazzetta antistante, cadde sulla Chiesa di San Biagio e ridusse la canonica e il campanile in un ammasso di macerie. Oltre al danno irrecuperabile al patrimonio artistico cittadino, 19 furono le vittime che finirono sepolte sotto il crollo della chiesa. Ancora oggi c’è chi ricorda lo sconcerto del parroco salesiano di fronte alle macerie della sua chiesa. Don Garbin non si perse d’animo e grazie a un generoso lascito ricevuto dalla signora Petrucci fu protagonista della ricostruzione della Chiesa di San Biagio. Non solo. Fu egli stesso a seguire i lavori di costruzione del collegio salesiano e il restauro dei locali del San Luigi.

nelle foto sopra: le macerie della Chiesa di San Biagio dopo il bombardamento del 10 dicembre 1944

Dopo la Liberazione, don Garbin venne incaricato dal CLN di creare la Casa del Reduce per accogliere i forlivesi che rientravano nella loro città e per aiutarli, offendo loro viveri e pasti caldi.
«Don Garbin – sostiene lo storico Mario Proli – è stato veramente l’uomo della provvidenza per tanti forlivesi, tragicamente alle prese con la guerra in casa. In poco tempo riuscì a organizzare una mensa dei poveri capace di mille pasti al giorno, per non parlare dei tanti sfollati ospitati direttamente nei locali dell’Opera».
Nell’immediato dopoguerra, sfollati, disoccupati e senza tetto ebbero due precisi punti di riferimento cui denunciare le sofferenze inferte dal passaggio del fronte: il sindaco Agosto Franco e don Pietro Garbin. Quest’ultimo, in particolare, fu determinante sia nella ricostruzione di un’esperienza di fede, messa a dura prova dai tragici fatti della guerra, sia nella ricostruzione materiale della città.
Innumerevoli furono le attività a cui questo instancabile sacerdote si dedicò, tra queste vanno ricordate le iniziative culturali a sostegno dell’opera del drammaturgo forlivese Diego Fabbri, cresciuto culturalmente nell’Oratorio di San Luigi.
All’età di 50 anni don Garbin fu trasferito all’Aquila (1957-1958) poi a Roma per dirigere l’importante parrocchia di San Giovanni Bosco a Cinecittà (1958-1962). Dopo un breve rientro all’Aquila (1962-1964), nel 1964 don Garbin tornò in Romagna, a Faenza, come parroco di Sant’Agostino, dove restò fino al 27 settembre 1973, giorno in cui fece rientro nella sua amata Forlì per morirvi appena dodici giorni dopo, il 9 ottobre. Nel 1994 la salma di don Garbin fu traslata nella “sua” Chiesa di San Biagio, dove tuttora riposa.

Nel corso del convegno “Garbin: la memoria a cento anni dalla nascita” che si tenne a Forlì, presso la Sala San Luigi, il 1° ottobre 2007, Nadia Masini, allora sindaco di Forlì, ebbe modo di ricordare la figura del grande religioso con queste significative parole: «(…) è stato l’uomo della solidarietà, sempre al servizio di tutti, patrimonio indimenticabile della città intera. (…) un sacerdote che con il suo impegno e le alte capacità educative, morali e organizzative ha dato un importante contributo allo sviluppo sociale e civile della nostra città. (…) il legame fra Forlì e Don Garbin è di quelli profondi e inscindibili, costruito sul sacrificio e sul servizio alla comunità, qualità che caratterizzarono la missione del sacerdote Salesiano in terra forlivese dall’autunno del 1942 al 1957. Don Garbin intrecciò la propria vicenda umana e religiosa con quella della nostra città in un periodo particolarmente intenso e difficile, caratterizzato prima dalla tragedia e dalle distruzioni suscitate dalla Seconda guerra mondiale e successivamente dalle speranze della ricostruzione, fino alle grandi trasformazioni sociali, culturali ed economiche degli anni ’50. Uomo di fede, uomo di educazione e formazione, uomo di solidarietà: Don Garbin ha dato tanto alla comunità forlivese e la sua presenza è rimasta anche dopo la sua partenza per altre città e anche dopo la fine dei suoi giorni avvenuta al suo ritorno a Forlì nel 1973. La sua memoria è rimasta viva e presente in quanti lo conobbero, nei libri di storia e anche negli spazi urbani con l’intitolazione al suo nome, avvenuta nel 2002, della piazza antistante il San Biagio: la sua chiesa, la chiesa nella quale riposano le sue spoglie mortali. Don Pietro Garbin fu protagonista della vita religiosa nell’ambito dell’Opera salesiana e della chiesa di San Biagio, che contribuì in modo determinante a ricostruire dopo la distruzione da parte di un bombardamento aereo tedesco nel dicembre 1944. Don Garbin fu esempio, testimonianza e aiuto durante i terribili mesi del passaggio del fronte e nei difficili anni della ricostruzione materiale e morale della città dalle macerie della guerra, verso una società libera, democratica ed ebbe quale principale interlocutore cittadino il sindaco della liberazione, Franco Agosto. La sua attività fu fortemente connotata dal servizio all’intera comunità civile, con l’assistenza ai bisognosi e agli ammalati, ai reduci e agli sfollati. Fu punto di riferimento per l’Oratorio, continuando l’attività portata avanti anni prima da monsignor Giuseppe Prati (don Pippo, ndr) e alimentando con autorevolezza ed energia quell’azione educativa rivolta a tanti giovani fra i quali ricordo, fra tutti, don Francesco Ricci e il professor Roberto Ruffilli. (…)».

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