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Forlimpopoli celebra Pellegrino Artusi, il romagnolo padre della cucina italiana

Ogni anno, in occasione della Festa Artusiana, Forlimpopoli si trasforma nella capitale del “mangiar bene” per rendere omaggio al suo concittadino più illustre: il gastronomo Pellegrino Artusi, padre indiscusso della moderna cucina italiana.

 

 

Un intreccio irresistibile di suoni, profumi e sapori invade il centro storico della cittadina artusiana, teatro per nove serate di un inedito dialogo tra gastronomia, cultura e intrattenimento.

Filo conduttore sono la cucina domestica e le oltre 700 ricette del celebre manuale artusiano “La Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” che rivivono nei tanti ristoranti e punti di degustazione allestiti lungo le strade, le piazze e i vicoli di Forlimpopoli, rinominati per l’occasione secondo i capitoli del celebre libro. Il linguaggio della Festa si intinge dunque nelle parole, nei racconti e nello spaccato di quell’Italia che proprio il manuale ha contribuito a unificare dal punto di vista identitario, culturale, gastronomico e linguistico.

E per ricordare la figura di Pellegrino Artusi, il romagnolo padre della cucina italiana, vale la pena riprendere la breve biografia compresa nel volume “Personaggi di Forlì. Uomini e donne tra Otto e Novecento”, scritto con Gabriele Zelli, dato alle stampe nel 2013.

Pellegrino Artusi è autore del più celebre libro italiano di cucina, La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, il volume che detiene l’originale primato di essere il più rubato dalle pubbliche biblioteche della penisola. Artusi con il suo libro dotò la nuova Italia di una raccolta di ricette «raccontate» con gusto e semplicità, capaci di unificare il paese negli usi gastronomici, non meno di Pinocchio di Collodi, come ebbe modo di far notare lo scrittore toscano Giuseppe Prezzolini.

Artusi seppe giocare d’anticipo su tendenze che si sarebbero affermate nel corso del XX secolo. Nel suo libro riservò alla pasta un ampio spazio, come mai era avvenuto in nessun altro ricettario del tempo. Tracciò, inoltre, per la prima volta, lo schema del tipico “menù all’italiana”, costituito da un primo, da un secondo e da un dessert. Vero è che Artusi scriveva principalmente per i più «agiati», i quali del resto erano gli unici in grado di leggere, in un’Italia di fine ‘800 dove l’analfabetismo toccava, anche al Nord, punte del 70-80 per cento.

Pellegrino Artusi può essere considerato a pieno titolo il padre della moderna cucina italiana e in una carrellata dedicata ai personaggi forlivesi del XIX e XX secolo ci piace inserirlo un po’ per ammirazione, un po’ perché rammaricati nei confronti del destino che ha voluto che nascesse a Forlimpopoli, a soli otto chilometri da Forlì.

Com’è noto, Pellegrino Artusi decise, però, di lasciare la città natale a seguito della celebre scorreria brigantesca di Stefano Pelloni, detto “Il Passatore”, avvenuta nella serata del 25 gennaio 1851. Il brigante con la sua banda prese in ostaggio, nel teatro della città, tutti i rappresentanti delle famiglie più facoltose di Forlimpopoli, rapinandole una a una. Tra questi vi era anche Agostino Artusi, padre di Pellegrino e di due ragazze, la più sensibile delle quali, Gertrude, fuggì per i tetti, seminuda e terrorizzata, tornando poi a casa con i capelli completamente imbiancati. Forse non fu violentata, certo è che fu preda di un ineliminabile dolore, di un «orgasmo nervoso che di frequente stabiliva in lei scosse convulsive». Venne fatta sposare, ma il marito era rozzo, villano, manesco e Gertrude finì in manicomio a Pesaro. Il fratello Pellegrino la andò a trovare fino a che lei lo riconobbe.

Come si diceva, a seguito del tragico episodio legato al Passatore (per niente «cortese», a dispetto di Giovanni Pascoli), nel 1852 il gastronomo, una sorta di “ghibellin fuggiasco” al contrario, lasciò Forlimpopoli per trasferirsi a Firenze, dove continuò la redditizia attività di commerciante, facendo anche molta beneficenza. Qui mai prese moglie e, aiutato dalla fida Marietta, si dedicò alla stesura del suo grande manuale di cucina, che portò a termine nel 1891.

Non essendo riuscito a trovare un editore, lo stampò a sue spese per poi venderlo per corrispondenza. Il meccanismo funzionò e, attraverso un fitto scambio di lettere con i suoi lettori, Pellegrino acquisì suggerimenti e precisazioni che gli consentirono di aumentare progressivamente, edizione dopo edizione, il numero delle ricette che, nel 1911, anno della sua morte, dalle 475 della prima pubblicazione, raggiunsero il numero di 790, rendendo sempre più ampia e «nazionale» la scelta iniziale.

Nel ricettario un posto d’onore l’hanno le ricette della cucina dell’Emilia-Romagna e della Toscana, anche se la corrispondenza con i lettori consentì all’Artusi di inserirne alcune provenienti fin dalla lontana Sicilia. In ordine alfabetico, dalle “Acciughe alla marinara” alla “Zuppa alla toscana di magro”, Artusi finì con l’unire, inconsapevolmente, l’Italia delle classi borghesi.

Piero Camporesi, forlivese di nascita, curatore dell’edizione Einaudi del 1970, scrisse: «Bisogna riconoscere che La scienza in cucina ha fatto per l’unificazione nazionale più di quanto non siano riusciti a fare i Promessi Sposi (…) Nonostante la fortissima personalità dell’autore, il ricettario finì per configurarsi come opera collettiva delle famiglie italiane. Questo spiega il suo strepitoso e duraturo successo».

(Tratto da “Personaggi di Forlì. Uomini e donne tra Otto e Novecento” volume 1, Marco Viroli e Gabriele Zelli, «Il Ponte Vecchio», 2013)

 

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