Ieri Scalfari ha criticato Renzi per i rapporti con Padoan. Il fatto è che un ministro o un assessore non possono essere allo stesso livello di un consigliere economico del presidente o del sindaco
È sempre molto piacevole la rubrica domenicale che Eugenio Scalfari pubblica su Repubblica. Il fondatore del quotidiano, ora diretto da Mario Calabresi, si occupa di molto molti temi. Ma la politica e l’economia sono quelli ai quali dedica più spazio. Nell’ultimo numero lo ha fatto parlando di Renzi.
La nostra valutazione di Renzi l’abbiamo già fatta molte volte – scrive Scalfari-, ma non è sempre la stessa. In certe occasioni i suoi errori sono marchiani, specie in politica economica quando prende la mano a Padoan ed opera senza di lui.
Poi Scalfari fa riferimento ai difficili rapporti che Renzi ha con la sinistra dissidente e con alcune personalità che hanno grandi meriti nella vita italiana e che lui ha sempre volutamente ignorato. Quindi cita quelli che ritiene siano i meriti del segretario del Pd.
Tutti spunti molto interessanti, ma quello che mi ha stimolato in modo particolare è il riferimento alla politica economica. Questo perché l’ho sempre ritenuta la madre di tutte le politiche, l’elemento più importante per giudicare un governo, a qualsiasi livello.
E Scalfari, dal mio punto di vista, ha messo le mani nella marmellata quando ha segnalato gli errori fatti da Renzi “quando prende la mano a Padoan e opera senza di lui”.
Il vero nodo è quale deve essere il rapporto fra il numero uno (presidente del Consiglio, della Regione o sindaco) e il suo uomo dei conti. È un equilibrio molto difficile.
Io resto dell’idea che un capo, a qualsiasi livello, si debba circondare di persone capaci che si possano muovere il più autonomamente possibile dentro un quadro (linea politica) predefinito. È inutile prendere una persona di spessore e fargli fare solo l’uomo dei conti. Per quello basta un tecnico. Un dirigente del ministero.
Ma, mi rendo conto, che le difficoltà maggiori nascono quando si abdica dalla concretezza per dare la stura a scelte populiste. Il taglio dell’Ici è l’esempio più lampante. Ma, a mio avviso, anche la legge sugli ottanta euro va in quella direzione.
Fare scelte di pancia è sbagliato a prescindere, ma lo è in modo particolare in economia dove le decisioni finiscono per incidere in maniera strutturale sui conti dell’ente pubblico che, a quel punto, avrà margini di manovra ristretti essendo finiti i tempi in cui era possibile fare tutto e il contrario di tutto.
Tutto però deve passare attraverso una chiarezza iniziale. Solo se c’è quella ci possono essere politiche condivise. È anche per quello che sono sbagliate le scelte fatte in base ai curriculum. A parte che, per i ruoli strategici, neppure le aziende si muovono in questo modo. Lo stesso vale per la politica. Un ministro o un assessore deve essere scelto sulla base di un rapporto fiduciario. Deve poi, però, avere le mani sufficientemente libere. Non può essere considerato allo stesso livello, se non addirittura meno di un consigliere economico del presidente.
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