La Città del Gusto può diventare un valore aggiunto per il territorio, ma deve integrarsi
Valore aggiunto per il territorio. È quello può e deve dare l’accademia del Gambero Rosso che si è insediata in Fiera.
Un tassello è rappresentato dal master in Food & Wine che il Gambero Rosso organizza assieme alla Iulm, università di Lingue e Comunicazione. Un percorso della durata di un anno (sei mesi di corso e altrettanti di stage) del costo di 9.500 euro e che prevede la partecipazione di trentatré ragazzi che ambiscono a diventare esperti della comunicazione nel campo enogastronomico .
Questa volta il corso ha in programma un’esperienza anche a Cesena e la base sarà la Città del Gusto che è alla Fiera. Ci sarà, inoltre, un rapporto con le aziende locali. Quindici realtà territoriali saranno analizzate per valutare il modello comunicativo e per individuare gli elementi di forza e di debolezza.
Alla fine è previsto un convegno con la presentazione delle principali leve di marketing enogastronomico. E questo mi pare l’aspetto più interessante.
La produzione legata all’agricoltura continua ad essere la voce più importante della nostra economia. Però non abbiamo il ceto medio. O le aziende sono dei colossi (Amadori, Apofruit, Orogel, ecc.), oppure hanno una dimensione troppo piccola. Un nanismo che, a lungo andare, le penalizza.
Non siamo soli. È un problema di tutta la nazione. È per quello che, in questo settore, l’Italia esporta meno della metà della Germania. Il dato fornito da Paolo Cuccia, presidente del Gambero Rosso, può sembrare impossibile, ma è determinato dalla dimensione delle aziende. Le nostre, essendo di dimensioni ridotte hanno bisogno di fare sistema.
Attenzione, però, fare sistema non significa ridurre i propri margini di autonomia all’interno della propria azienda. Essere piccoli, a mio avviso, può creare dei problemi se ci sono da affrontare delle sfide internazionali, ma può essere un valore aggiunto dal punto di vista della qualità. Spesso le dimensioni ridotte permettono di dare libero sfogo non solo alla manualità, ma a quel ingegno che è fondamentale per una produzione che non sia codificata.
È chiaro, nell’epoca della globalizzazione è necessario far convivere i due aspetti. E non è facile. Non siamo di fronte al sacro e al profano, ma a qualcosa di simile. Per quello guardo con interesse a quanto potrà essere elaborato dopo le attività previste nel Cesenate. Una full immersion che, per la verità, poteva essere un po’ più lunga. Ma mi rendo conto che non si può avere tutto e subito.
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