Nel fine settimana torna la festa dedicata all'eroe dei due mondi. Del combattente traccia un profilo Renato Lelli
Nel primo fine settimana di agostno a Cesenatico torna la festa di Garibaldi. Ne parla Renato Lelli.
Sono passati 135 anni dalla morte di Garibaldi, ma il mito dell’eroe si mantiene ancora vivo. Cesenatico tutti gli anni nel primo fine settimana di agosto ne ricorda il passaggio. Ma quello che stupisce non è tanto la festa popolare in una località turistica, che ha parzialmente saputo trasformare un evento storico, ma che questa sia l’occasione di ritrovo di persone che ogni anno si raccolgono qui da tutta Italia. A questa figura furono legati anche Craxi e Spadolini. Anche quest’ultimo, da presidente del Consiglio, venne a Cesenatico a celebrare questa ricorrenza.
Questo il fatto storico che si continua a ricordare a Cesenatico; in un lontano passato le associazioni ed i gruppi legati al P.R.I. coglievano l’occasione di eventi come questi legati al mito di Mazzini e Garibaldi per ritrovarsi, festeggiare e tenere legati gli associati. Tutto questo in buona parte è andato perduto.
In passato – semplificando molto la storia – la rappresentazione popolare parlava di un legame molto stretto tra Garibaldi, Mazzini e la Repubblica. In realtà i due uomini ebbero un rapporto continuo ma tormentato. Si può certamente affermare che Garibaldi è l’incarnazione pratica delle idee mazziniane, ma non solo.
La spedizione dei Mille porta un’enorme popolarità a Garibaldi, che mira, in primo luogo, a differenza di Mazzini, all’indipendenza ed all’unificazione italiana, indipendentemente se con i Savoia o con la repubblica. Garibaldi arriva a Londra nel 1864, su sollecitazione di Giuseppe Mazzini, che lo aveva invitato allo scopo di far conoscere “l’eroe dei due mondi” alla potenza più importante d’Europa. Quando Garibaldi scende alla stazione di Londra è già un mito e viene accolto da alcune migliaia di persone.
Garibaldi fu democratico e monarchico al tempo stesso, ma tiepido verso Mazzini, del quale non sopportava l’astratto dottrinarismo e l’intransigente dogmatismo, come risulta da un suo scritto : “Io conosco le masse italiane meglio di Mazzini perché sono sempre vissuto in mezzo ad esse; Mazzini, invece, conosce solo un’Italia intellettuale”.
Contrariamente a Mazzini, Garibaldi credeva moltissimo nei poteri assoluti del capo e diceva spesso che quando la nave corre pericolo di naufragare è dovere del capitano prendere saldamente e coraggiosamente il timone in mano. A lui, più che a Mazzini, lo storico inglese Mach Smith profondo conoscitore di entrambi i personaggi, attribuisce il merito di aver tratto il popolo dall’indifferenza politica alla fede nel Risorgimento: “La notorietà di Garibaldi fu un ingrediente essenziale nel guadagnare molta gente comune ad una causa nazionale che sarebbe altrimenti sembrata remota e senza vantaggi. Garibaldi fu prezioso per quel suo spensierato prendere la legge in mano senza calcolare il costo e le conseguenze; con la sua fede cieca ed irragionevole e con il coraggio di assurdi convincimenti mostrò che un uomo può smuovere le montagne e spostare una frontiera”.
Ricordare oggi tutto ciò può sembrare anacronistico e superato. Però fermarsi un attimo a pensare e richiamare alla mente da cosa nasce questa festa e perché non mi sembra sbagliato.
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