La gran parte della spesa corrente del Comune è destinata ai servizi alle persone. Ma in arrivo ci sono nuove emergenze. L'intervento del sindaco al convegno organizzato dalla Fondazione Carisp
“Un nuovo Welfare di comunità” è il titolo di un convegno organizzato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Cesena il 13 dicembre scorso. Un tentativo mettere a fuoco un problema di strettissima attualità e che dovrebbe essere al centro della prossima campagna elettorale. Fra i relatori anche Paolo Lucchi, sindaco di Cesena, che ha parlato della situazione attuale, di come sono cambiate le cose negli ultimi otto anni e di quello che servirà per il futuro. Una situazione, quella di Cesena, che sta dando buone risposte grazie al lavoro fatto dall’assessore Simona Benedetti.
I servizi per le persone rappresentano sicuramente uno fra gli indicatori più importanti per rilevare la qualità della vita di una comunità. Incidono sulla quotidianità delle famiglie in maniera trasversale e complessa.
La grande parte della spesa corrente del Comune di Cesena è assorbita da questa programmazione, che dal 2009, anche in controtendenza rispetto ad altri territori, non ha visto tagli di risorse né chiusure di servizi.
Al contrario il Comune ha lavorato per consolidare i servizi esistenti (in particolare inizialmente rivolti agli anziani e ai disabili) e per costruire una nuova rete di sostegno a contrasto dell’impoverimento della comunità (problema “moderno” in ambito sociale)”.
Come possono essere sintetizzati otto anni di politiche sociali comunali (quelle rese operative dal 2009 ad oggi, quindi)?
- programmazione dei servizi rivolti ad anziani e disabili, prendendo a riferimento il progressivo e costante invecchiamento delle nostre comunità: spesa in aumento;
- percorsi di inclusione al lavoro (BL, tirocini, ecc.) per disoccupati cronici e ora apertura dello sportello per l’assegnazione dei redditi di solidarietà introdotti da Governo e Regione;
- costruzione di una nuova rete di servizi comunaliper le persone povere e senza fissa dimora (due nel 2009 e circa 70 nel 2016): dormitorio comunale, unità di strada, centro sociale diurno, e “prima casa” per chi esce dalla strada;
- Rafforzamento del metodo della concertazione e della rete fra pubblico e associazionismo/volontariato che ha visto in questi anni una sua definitiva, costante e strutturale attivazione. In termini di dialogo e programmazione condivisa ma anche di sostegno economico (per sostenere progetti (per lo più di associazioni) che rischiavano di “chiudere” a seguito dei problemi della Fondazione CRC, abbiamo investito non meno di un milione).
Obiettivi da presidiare per il prossimo futuro?
- continuare a modificare un assetto di servizi sorto decenni fa, quando i bisogni erano diversi. Tenere a bada invecchiamento progressivo convivenza multiculturale impoverimento (che diritti avranno da adulti gli 800 bambini poveri su cui il Comune ha acceso il faro e che responsabilità deve assumersi questa comunità)?
- centralità dell’integrazione pubblico-privata e dell’integrazione fra servizi sociali, socio-sanitari e sanitari (Casa della Salute per i cronici; Nuovo Ospedale “Bufalini”).
Dati locali
Sociale: 38.000.000 di cui 15.000.000 dei Comuni Unione, 14.000.000 Ausl (fondi regionali), 9.000.000 come contribuzione degli utenti (anziani nelle case di riposo);
Scuola: 10.000.000 del Comune per assistenza disabilità in classe, mense e refezione, trasporto scolastico, contributi ai progetti delle scuole, gestione nidi e scuole comunali, formazione (CDE).
Persone in carico (dati 2016)
Famiglie: 1947 (800 nel 2007);
Bambini:748
Persone con disabilità: 631 (di cui 111 bambini)
Anziani: 2517
TOTALE: 5843 persone
Dati nazionali
Nella sua ultima rilevazione, l’Istat ha individuato in Italia 4.742.000 persone in stato di povertà assoluta (il 6,3% degli italiani, quindi). Un dato altissimo, in costante aumento.
Ma, oltre a questo, moltissimi italiani sono in stato di difficoltà e individuano come bloccato “l’ascensore sociale”. Infatti (dati SWG maggio 2017) il 41% vede la propria situazione peggiorata (sia provenendo dai ceti alti e vedendosi ormai collocato tra i ceti medi, 13%; sia vedendosi passare dai ceti medi a quelli fragili, 19%; sia, infine, vedendosi precipitati dai ceti fragili a quelli marginali, l’8%).
In questo quadro, la nostra realtà provinciale tiene meglio, se è vero che molti dati “sociali” (disoccupazione, migrazione ospedaliera, consumo di medicinali, per esempi) ci collocano in una posizione di privilegio su base nazionale.
La stessa è garantita sia dalla tenuta dei sevizi pubblici, che dalla “rete” costruita con il nostro ricchissimo mondo del volontariato, sia dall’esistenza di imprese che, soprattutto nel settore agroindustriale (Apo, Orogel, Amadori, ma non solo), sanno occupare persone a bassa professionalità, rendendo operativo un “welfare aziendale” virtuoso ed unico, almeno in Romagna.
Ma non basta.
Per questo ritengo che ogni amministratore pro tempore della cosa pubblica, ogni rappresentante politico, sindacale, associativo, ogni manager d’impresa, nei prossimi anni dovrà confrontarsi con una domanda prioritaria rispetto a tutte: come garantire assieme che questo territorio possa, anche nel prossimo futuro, poter godere dei vantaggi di una coesione sociale, messa a rischio in tutt’Italia da una crisi economica che, nel giro di pochissimi anni, l’evoluzione tecnologica (e la contemporanea scomparsa di oltre il 50% dei lavori attuali) porterà a divenire “crisi strutturale del modello attuale di lavoro”?”.
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