In Romagna si vive più a lungo. E non è un caso

Intervento di Paolo Lucchi, sindaco di Cesena

In Romagna si vive più a lungo. E non è un caso. È questo il senso del ragionamento fatto da Paolo Lucchi, sindaco di Cesena, in un documento sulla sanità.

“L’efficienza della sanità allunga la vita”. Quella che pare una mera considerazione di buonsenso, nei giorni scorsi ha trovato una conferma nei dati diffusi dall’Osservatorio nazionale della salute nelle Regioni italiane, nell’ambito di un progetto dell’Università Cattolica.

Cosa ci ha raccontato l’Osservatorio? Che in Italia si vive più a lungo a seconda del luogo di residenza o del livello d’istruzione e che a farne le spese sono le Regioni del Sud, dove le persone hanno una speranza di vita più bassa.

Infatti, se a Napoli e Caserta l’aspettativa di vita è di 80,7 anni ed a Siracusa e Ragusa di 81,4, invece a Rimini ed a Firenze si arriva ad 84 anni. E, mentre l’aspettativa di vita di toscani ed emiliano-romagnoli a livello mondiale è inferiore solo a quella di chi abita nel Principato di Monaco (90 anni) ed in Giappone (85,5 anni), per i campani è simile a quella di irlandesi e tedeschi (80,5 anni circa per entrambe le popolazioni) e per i siciliani è paragonabile a quella di norvegesi e francesi (81,6 anni).


Restringendo ancor di più il focus a chi vive in Romagna, al dato di Rimini si aggiunge quello di Forlì-Cesena (con un’aspettativa di vita di 83,6 anni) e di Ravenna (83,5): le nostre tre Province sono collocate rispettivamente in seconda, undicesima e dodicesima posizione nazionale e cioè prime tra quelle della nostra Regione, a precedere Bologna e tutti gli altri territori dell’Emilia.

L’Osservatorio evidenzia come le disuguaglianze siano acuite soprattutto dalla difficoltà di accesso ai servizi sanitari, che penalizza la popolazione di livello sociale più basso, con un impatto significativo sulla prevenzione e sulla capacità di diagnosticare rapidamente le patologie. E questo mette in discussione un Servizio sanitario nazionale che certo aspira ad modello universalistico, ma che non sempre offre equità sociale e territoriale. Su tutto ciò è possibile esprimere almeno due valutazioni facili facili.

 

Paolo Lucchi



La prima: i dati diffusi hanno purtroppo solo sfiorato il dibattito di una campagna elettorale che – a parte rare eccezioni, per fortuna rese possibili anche da alcuni dei candidati del nostro territorio – pare sempre più attraversata dall’aggressività, dai gossip sul post voto, ma non dalla voglia di capire e spiegare i progetti più importanti per la vita quotidiana degli italiani. Ed il futuro della nostra sanità è a tutti gli effetti certamente uno dei temi che non può mai sottovalutare chiunque ambisca a governare il nostro Paese.

Paolo Lucchi



La seconda: è evidente come coloro i quali in questi anni hanno elencato le presunte “malefatte” del sistema sanitario del nostro territorio, siano stati guidati da un pregiudizio non basato su alcuna certezza, ma solo poggiato sulla loro incapacità di proporre alternative credibili ad una sanità che funziona. Hanno infatti volutamente dimenticato come la nostra sia una sanità in grado di competere con i migliori sistemi europei, grazie alla capacità professionale dei tanti che operano nelle nostre Ausl, a scelte organizzative evidentemente da fare evolvere, ma avanzate nei loro valori di fondo ed alla costante volontà della Regione Emilia-Romagna di utilizzare virtuosamente la parte di gran lunga più rilevante del proprio bilancio.

Perché se l’Emilia-Romagna al primo posto in Italia (davanti e Lombardia, Toscana e Trentino Alto Adige) per qualità dell’offerta sanitaria e capacità di rispondere ai bisogni di salute della popolazione (come certifica la rilevazione del “Meridiano sanità regional index”, elaborata da “The european house-Ambrosetti”), qualcosa significherà. E certamente questo dato incide quotidianamente anche sulle nostre personali aspettative di vita.


Certo resta da fare ancora molto per abbattere le liste d’attesa (sulle quali in questi ultimi tre anni si è però intervenuti in modo evidente) e sulla necessità di collegare sempre di più i cambiamenti sociali in atto, con l’organizzazione dei nostri presidi ospedalieri. Ma, nel frattempo, si sta investendo sia per assumere personale ospedaliero in grande quantità, stabilizzando tanti, così come per ammodernare e ristrutturare gli ospedali, realizzare nuove case della salute, acquistare nuove apparecchiature diagnostiche, adeguare le strutture alle norme sulla sicurezza, arricchire la rete ospedaliera della Regione. E noi cesenati – alle prese con il progetto identitario del nuovo Ospedale per la nostra città – possiamo confermarlo.

Perché l’impegno per garantire una aspettativa di vita sempre maggiore ai nostri concittadini, non può certo dirsi concluso neppure in Romagna, la terra nella quale si può concretamente sperare di vivere a lungo, contando su di un sistema di servizi sociali e sanitari di qualità.

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Davide Buratti

Davide Buratti, giornalista professionista, fondatore della Cooperativa Editoriale Giornali Associati che pubblica il Corriere Romagna, di cui dal 1994 e per 20 anni è stato responsabile della redazione di Cesena. Oggi in pensione scrive di politica, economia e attualità a 360 gradi nel suo blog per Romagna Post. Per contatti utilizzate il box commenti sotto gli articoli.