"La verità sul caso Harry Quebert" non mi ha entusiasmato anche se si legge abbastanza bene
Non è facile dare un voto a “La verità sul caso Harry Quebert” (770 pagine, edizione Bompiani). Alla fine propendo per una sufficienza stiracchiata.
Devo dire che mi aspettavo molto di più. Forse perché condizionato dalle recensioni. A mio avviso non è un capolavoro e non capisco il perché di certi giudizi entusiastici. Nello stesso tempo, però, non condivido neppure certe stroncature che ho letto.
Come spesso succede la verità sta nel mezzo. In definitiva, l’opera firmata da Joël Dicker può essere inserita tra le letture leggere. Mi sembra Il libro ideale per le giornate estive passate sotto l’ombrellone o in riva ad un lago alpino.
La lettura è chiara e semplice. E questa, a mio avviso, è la caratteristica più importante. L’autore è molto bravo a introdurre continui colpi di scena. Inserirne uno ogni cinque pagine al massimo è una delle regole principali da rispettare. E Dicker non si è fatto pregare. Però ci sono troppi elementi tirati per i capelli. Nonostante tutto gli intrecci sono appassionanti.
Il protagonista è bravo nel fare indagini. Ma trova un po’ troppe porte aperte. Non è così facile raccogliere informazioni e i testimoni non parlano con così tanta facilità. Un neo è rappresentato da dialoghi e riflessioni: spesso sono piatti. Inoltre non mi è sembrata sufficientemente approfondita la psicologia dei personaggi.
Indubbiamente è tirato un po’ troppo per le lunghe. Nonostante ciò si legge bene. Ha comunque la capacità di tenerti incollato. Il finale inoltre ha una piega inaspettata. Anche se, va detto, l’assassino fin dall’inizio lo avevo inserito nella rosa dei sospettati.
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