Ha perso identità e non se ne è data una nuova. Impietosi i dati contenuti un uno studio della Swg
Per certi versi a me il Pd ricorda il Foro Annonario. Sulla scelta strategica, non su quella architettonica, del Foro sono sempre stato critico. E il mio pensiero L’ho espresso in modo chiaro nel mio libro “Vent’anni a Cesena”. In particolare quando scrivo (pag. 29): se si snatura quella precedente (immagine ndr) è necessario presentarsi con qualcosa di molto identitario, cosa che per il Foro è avvenuta solo in misura minima se non per niente.
Ecco, per certi aspetti il Pd (soprattutto quello renziano) ha avuto lo stesso problema: si è innovato ma non è riuscito a darsi un volto ben definito.
Io non sono contrario all’innovazione. Anzi, ho sempre sostenuto che (in tutti i campi) ci si debba aggiornare in continuazione la propria offerta. Però sono sempre stato dell’idea che si debba innovare nella continuità. Altrimenti, si rischia di annacquarsi. Ed è quello che, mi sembra, sia successo al Pd.
Emerge, in particolare, da uno studio riservato fatto dalla Swg sui flussi elettorali. Contiene moltissimi dati. Tra le tante schede, quella che più mi colpito è quella del cammino della sinistra. È sorprendente vedere quali scelte sono state fatte il 4 marzo scorso da chi, nel 1968, aveva votato Pci. Il 20 per cento si è astenuto. Del restante ottanta il 35 per cento ha scelto i 5Stelle, il 32 il Pd, il 10 Leu, il 9 la Lega, il 5 Potere al Popolo e il 9 altri partiti.
Dunque, il Pd ha perso l’appoggio di oltre due terzi della propria base. Non va bene. Però potrebbe essere accettato se il processo riformatore avesse portato alla conquista di altri “mondi”. Ma così non è stato. Degli ex elettori Dc il Pd ne ha catturato il 18 per cento, come i 5Stelle e meno della Lega (20) e di Forza Italia (29). Inoltre è riuscito ad attirare solo il quattro per cento (pochissimi) elettori di Forza Italia quelli ai quali guardava Renzi per costruire il partito della nazione o nuova Dc, chiamatelo un po’ come volete.
Secondo me, la sconfitta del quattro marzo sta tutta qui. Ed è da queste macerie che il Pd dovrebbe avere la forza di ripartire. Per farlo non serve l’uomo forte, ma una linea precisa, con una identità forte. Come non ci sono gli uomini per tutte le stagioni lo stesso discorso vale per i partiti.
È vero che Renzi ha dovuto affrontare i problemi determinati da una crisi devastante. Questo va riconosciuto. Come gli va dato atto che alcuni risultati ci sono stati. Nei giorni scorsi ilsussidiario.net (blog non certamente vicino a Renzi) li ha ricordati. Ma, in diversi casi, ha fatto scelte che lo hanno allontanato dalla base del Pd, ma nello stesso tempo non gli hanno permesso di avere quel potere attrattivo nei confronti di molti di quelle persone che lo guardavano con interesse e lo votarono alle Europee.
Un percorso al quale deve guardare il Pd per tracciare le linee future, ma che deve essere da monito anche per altri. Soprattutto nel momento in cui è acclarato che non ci sono più rendite di posizione.
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