La riflessione del sindaco di Cesena: il territorio cesenate deve avere il coraggio “rivoluzionario” di affrontare il futuro di lavoro ed impresa
Interessante riflessione di Paolo Lucchi, sindaco di Cesena, sul Primo maggio.
Come sempre il 1 maggio ci offre l’occasione giusta per fermarci a riflettere sul mondo del lavoro e sulle sue prospettive. Ammettiamolo, non ci capita spesso, alle prese come siamo con un confronto politico ed amministrativo che si trova ad essere travolto dai tempi frenetici dell’ennesimo post decisivo e del tweet che cambia i destini del nostro Paese.
Eppure il teatrino insopportabile degli ormai 60 giorni che ci separano dal voto del 4 marzo – e che stanno documentando come si possa fare prevalere solo “l’io” dei vari leader, dimenticando la responsabilità generale -, indicano come sia necessario fare un salto di qualità, costruito sui problemi veri degli italiani. E su quelli dei cesenati, nel nostro caso.
Tutti gli indici nazionali e locali dimostrano come l’economia sia ripartita. Sono cresciuti export (in Emilia-Romagna più che in ogni altra parte d’Italia) ed assunzioni; nel nostro caso, imprese agricole e turistiche stanno tornando a crescere, ma anche a “sbattere” contro una carenza di personale disponibile, mitigata solo dalla presenza di donne ed uomini provenienti da altri Paesi.
Ma nessuno o quasi riesce a prendere atto di questa “ripresina”. Accade perchè la paura del futuro è più profonda e fa i conti con uno sguardo inevitabilmente rivolto non più a ciò che abbiamo costruito assieme in tanti anni di benessere garantito a molti.
Vale per tutt’Italia ed anche per il cesenate, senza grandi differenze.
Certo, nel cesenate il settore agroindustriale, la rete di piccole e medie imprese innovative, turismo ed agricoltura, reggono meglio, ma non basta più. Né questa consapevolezza può diventare la nostra scusa per rinviare il problema, sperando che dietro l’angolo ci sia una nuova ripartenza, miracolosamente ed esclusivamente “made in Cesena”.
Perché anche da noi, i 2/3 dei bambini che oggi frequentano le elementari e che sono i protagonisti di un’innovazione tecnologica senza confini, faranno un lavoro che oggi neppure possiamo immaginare; perché anche nelle nostre imprese i robot di ultima generazione sono già oggi affiancati a quei lavoratori in carne ed ossa che li occhieggiano giustamente spaventati da un processo, inevitabile, di sostituzione forzata; perché anche il nostro sistema scolastico ed universitario fatica a reggere il passo con il cambiamento; perché anche nelle nostre campagne esistono fenomeni di lavoro nero e di caporalato che non possiamo fingere di scoprire solo quando le forze dell’ordine ne colpiscono le radici; perché gli incidenti sul lavoro ogni anno lasciano anche nel nostro territorio un segno indelebile di insicurezza che il 70simo anniversario della tragedia dello Zingone, con i suoi 19 morti, ci impone di ricordare, come tanti Sindaci faranno oggi, affiancando il Presidente della Regione Bonaccini.
In questi anni i sindacati Cgil, Cisl e Uil hanno affrontato questi temi spesso inascoltati, alle prese come siamo con un pensiero che resta abbagliato dai flash della contemporaneità e che solo raramente sceglie di iniziare la scalata più impervia: quella che impone l’esame del futuro.
Lo so bene, non basta denunciare lo stato delle cose né limitarsi ad affrontarlo con poche righe di ammissione del problema. In questo siamo tutti (forze politiche, amministratori locali, dirigenti di vario tipo) esperti assoluti, purtroppo.
Servirebbe fermarsi e provare a mettere in campo un modello possibile di sviluppo, non teorico, in grado di affrontare uno stato di fatto che, anche nel cesenate, da qui ai prossimi anni corre il rischio di lasciarci sospesi tra paure ed incertezze alle quali non siamo più abituati. Servirebbe discutere non a compartimenti stagni di un’idea di economia ed impresa che possa partire dalla quantità di lavoro necessario, ma anche dalla sua qualità.
Servirebbe uno sforzo vero – rivoluzionario, mi piacerebbe avere il coraggio di definirlo – che coinvolga Sindacati, Associazioni, Partiti, imprenditori, amministratori locali, utile a disegnare le coordinate del lavoro da qui ai prossimi anni, esattamente come furono in grado di fare cesenati più bravi e più adeguati di noi: quelli che riuscirono a passare dalle macerie del secondo dopoguerra allo sviluppo di un’economia che ancora ci rende più solidi di tanti altri italiani, ma che non ci basta più.
Il 1 maggio ci impone di pensarlo; dal 2 maggio dovremo anche provarci, senza scuse.
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