Che futuro per il Pd?

La base crede in una ripresa (indagine Swg). Ma se dal Nazareno non arriveranno segnali forti le speranze saranno ridotte

Il Pd può avere un futuro? Sì, secondo la base. Per lo meno, è quello che emerge da un sondaggio condotto dalla Swg. Alla domanda: si riprenderà? Il 78 per cento ha risposto che vive una fase di difficoltà, ma che si riprenderà; secondo il 18 ha terminato il suo ciclo storico, il quattro per cento non sa.

 

La convinzione diffusa è che serva una rigenerazione e non un superamento. Lo pensa il 73 per cento degli intervistati, il 20 invece ritiene che si debba sciogliere e il sette non sa.

Quindi non entusiasma il fronte repubblicano lanciato da Calenda per andare oltre il Pd. È favorevole il 31 per cento del campione e il 51 è contrario. Però, attenzione, c’è una fetta molto alta (17 per cento) che non sa rispondere.

 

Anch’io sono convinto che l’esperienza del Pd non sia finita. Ammesso che dal Nazareno arrivino segnali di vitalità. Serve una svolta immediata. Una stagione nuova non va aperta tra un anno o due. Sarebbe troppo tardi. Resterebbe solo una scatola vuota. Segnali forti e inequivocabili devono partire al più tardi da settembre. Servono chiarezza, trasparenza e quella passione che ancora c’è e che dove la trovi devi darle diritto di parola.

Naturalmente l’analisi deve essere cruda. E partire da un dato spietato: dieci anni fa il Pd raccolse 12 milioni di voti. Cinque anni dopo 8 milioni e mezzo. Il 4 marzo sei milioni. Se un decennio ti dimezza vuol dire che una parte del tuo mondo ha perso fiducia in te. Il problema è che la tenuta è tra pensionati e lavoratori garantiti mentre sono pochissimi  quelli che la recessione ha punito o espulso.

 

Inoltre il Pd deve partire dal presupposto che non sarà facile riconquistare le quote perse anche e soprattutto perché ha un concorrente forte e organizzato come i 5Stelle. È vero, i pentastellati usano molta demagogia. Però funziona ed è sbagliato pensare che sia un fenomeno passeggero. Mettersi sulla riva del fiume potrebbe essere molto pericoloso.

Il partito deve darsi una guida che abbia una linea precisa. Partendo dal presupposto che l’opposizione non è il battibecco quotidiano (quello serve per le telecamere), ma un’idea di società alternativa.

 

Prendiamo, ad esempio, il decreto dignità appena licenziato dal governo. Bisognerebbe avere il coraggio di dire che non tutto è da buttare. Ad esempio è giusto aumentare gli indennizzi sui licenziamenti. Però bisogna partire da un presupposto, e ricordarlo a Di Maio, che la precarietà la combatti con l’innovazione e la crescita. E l’innovazione non la si introduce con un decreto. È questa la differenza fra demagogia e un’idea di società alternativa.

 

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Davide Buratti

Davide Buratti, giornalista professionista, fondatore della Cooperativa Editoriale Giornali Associati che pubblica il Corriere Romagna, di cui dal 1994 e per 20 anni è stato responsabile della redazione di Cesena. Oggi in pensione scrive di politica, economia e attualità a 360 gradi nel suo blog per Romagna Post. Per contatti utilizzate il box commenti sotto gli articoli.