La storica zona di Cesena ne parla Jacopo Rinaldini in un suo pist
La Fiorita è una delle zone storiche di Cesena. Non solo perché ospita lo stadio. Ma anche e soprattutto è stata una delle grandi aree di espansione urbanistica del dopoguerra. Ora ne parla Jacopo Rinaldini, giornalista e politico.
CESENA – Da oltre dieci anni, pressoché quotidianamente, attraverso questo originale frammento di Cesena che risponde al nome di Quartiere “La Fiorita”.
Lo confesso: mi piace enormemente, probabilmente è uno dei luoghi della città che apprezzo di più.
Mi piace sia il nome, “La Fiorita” (è bello, suona benissimo e anche solo a parlar di fiori in mezzo a questi corridoi di cemento si fa un gran bene), sia il quartiere stesso, sebbene vi siano delle sfumature grigie dovute all’abbandono coatto in cui versano talune zone, perché, diciamolo, sono state lasciate dapprima languire e poi, poco a poco, sfiorire: quante piccole attività e centri di aggregazione hanno chiuso i battenti negli ultimi tempi.
Nonostante ciò, il tempo da queste parti sembra essersi cristallizzato e questo minuto angolo di mondo cesenate rimane “differente” rispetto al contesto in cui è inserito.
Tutto è semplice: l’edilizia popolare è rassicurante a modo suo, poiché bello e utile divengono sinonimi. Non c’è nulla di complicato, nessuna inutile astrazione figlia dell’immaginazione di qualche architetto votato al bisogno d’eternità.
Qui, ogni cosa è lineare, “giusta”, priva di sbavature.
Il protagonista assoluto è l’uomo e ogni singolo centimetro quadrato del Quartiere è stato concepito per favorire le relazioni umane… Magnifico!
Vide la luce grazie all’estro dell’arch. Giovanni Gandolfi nel 1955 e da allora tante cose, purtroppo, sono mutate: le figure del guardiano e dell’assistente sociale sono sparite, i negozi presenti nel Quartiere sono stati quasi tutti chiusi, il centro sociale è rimasto un vago ricordo, così come il piccolo bar, luogo di incontro, talvolta di duro confronto, il quale era parte integrante della quotidianità degli abitanti.
Permangono, al contrario, le tracce di un pensiero antropocentrico che andrebbe riscoperto e riportato in superficie: tutti quei percorsi pedonali che corrono in qua e in là, che si incuneano tra i palazzi e li mettono in comunicazione, che quasi obbligano le persone a guardarsi negli occhi nonostante il forsennato tramestio quotidiano, sono ramificazioni da valorizzare, da prendere ad esempio per i progetti futuri.
Sono indubitabilmente più utili di tanti vani ghiribizzi estetici e arabeschi falotici, e delle numerose, enormi, scatole di cemento ghettizzanti in cui è la mancanza di fantasia a dominare.
La speranza è che l’Amministrazione Comunale scelga di intervenire in maniera determinata e coraggiosa per salvaguardare ciò che rimane di un pezzo di storia recente della città e, magari, torni a parlare di edilizia popolare, di riqualificazione ambientale, di spazi collettivi nei quali non si debba necessariamente consumare.
I quartieri, le case, i giardini pubblici sono come le persone: se non le si accarezza, muoiono.
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