Negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, Forlì e la Romagna vennero travolte dal fenomeno culturale che interessò gran parte del mondo occidentale. Il movimento Rock affondò, infatti, le proprie radici anche nella terra del liscio e prosperò per un ventennio, grazie alla velocissima crescita del trend del turismo che ogni anno, nel periodo estivo, riversava decine di migliaia di turisti, provenienti da ogni parte d’Europa, su quel lembo di costa adriatica, di circa 90 km, che va da Casal Borsetti a Cattolica.
Il proliferare di band e musicisti che suonavano la nuova musica rock, sganciandosi da quella tradizione che li avrebbe voluti sul palco delle balere a interpretare il liscio romagnolo, è ben descritto dallo studioso Antonio Rosetti nel suo libro “Senza Tempo Noi 1964-1979: il rock a Forlì”, dato alle stampe nel 2008, e di cui è stata da tempo annunciata un’attesissima nuova edizione ampliata. La prima edizione del libro di Rosetti, composta da 266 pagine con foto, interviste, schede, discografie, è impreziosita dallo straordinario lavoro grafico di Giuseppe Tolo.
Antonio Rosetti nel suo libro scrive dei ragazzi di quell’epoca, giovani che, dopo gli orrori della Seconda guerra mondiale, avevano un mondo intero da cambiare. E per fare la rivoluzione erano sufficienti un paio di amplificatori, un microfono, una chitarra, un basso, una batteria e uno scantinato per fare le prove. Furono anni di grandi sogni e speranze, in cui la musica rock e beat rappresentava il mezzo ideale per cercare di mettere le basi per un futuro migliore. Fu così che quei ragazzi con i capelli cotonati, i pantaloni a zampa d’elefante e la pelliccia indossata a pelle anche d’estate, divennero inconsapevolmente protagonisti di un periodo dorato e irripetibile.
Vero è che le strumentazioni e le attrezzature di cui disponevano lasciavano un tantino a desiderare, tuttavia a muoverli erano la passione e la voglia di esplorare nuovi territori musicali.
A Forlì, in particolare, erano tanti i luoghi in cui si poteva suonare dal vivo e i concerti si tenevano in due sessioni, una pomeridiana, l’altra serale. Si suonava così al cinema teatro Apollo, alla sala Don Bosco, al Ciaika di San Martino in Strada, alla Bussola di Fratta Terme, al teatro Esperia, ai circoli di via Torelli e al “Treves” (che si trovava in corso Mazzini, dove per lungo tempo ha avuto poi sede il ristorante ‘Le due sorelle’). Anche a Forlimpopoli era possibile esibirsi al teatro Odeon.
Durante il giorno, il ritrovo era al Bar Giardino di piazzale della Vittoria o all’Hobby Bar di corso della Repubblica. Qui i giovani musicisti spesso discutevano tra loro e si scambiavano consigli e pareri. A quei tempi a Forlì si tenevano anche due concorsi musicali molto partecipati, come il “Festival delle speranze” e, soprattutto, tra il 1962 e il 1969, il “Festival della canzone studentesca”, organizzato dal periodico «Il termometro», collegato all’organizzazione cattolica Gioventù studentesca. È curioso ricordare che, nel 1968, il premio come miglior cantante andò a Carla Bissi, una timida ragazzina che frequentava le Magistrali. La Bissi, con lo pseudonimo di Alice, tredici anni dopo avrebbe vinto il Festival di Sanremo con la canzone “Per Elisa” firmata da Franco Battiato.
Si può leggere online, sul sito del «Resto del Carlino», nel bel articolo (purtroppo non firmato) “Rock e beat, ‘Senza tempo noi’ e la rivoluzione sbarcò a Forlì”, che il 9 ottobre 2008 annunciava l’uscita della prima edizione del libro di Antonio Rosetti:
«Il fermento creativo era incessante. I complessi nascevano, morivano il giorno dopo, si fondevano, si riunivano. Era una Forlì viva, con mille storie da raccontare, assolutamente incredibili. Come quando i Cliffters, il 26 maggio del 1968, aprirono i concerti di Bologna di Jimi Hendrix; e Lucio Battisti, che odiava cantare dal vivo, il 20 agosto 1970 lo fece alla Bussola di Fratta Terme; e Guidone e i suoi amici, che furono gruppo di spalla dei concerti italiani dei Beatles del 1965. Non tutti poi sanno che il tastierista dei Giganti (quelli di “Proposta”) era il forlivese Checco Marsella e che la canzone “Perché mi hai fatto innamorare” di Armando Savini vendette un milione di copie, o che Alberto Solfrini fu a un passo dall’ingresso nei Pooh dopo la defezione di Riccardo Fogli. E come dimenticare che il Villa Romiti il 27 marzo 1969 ospitò uno show di Adriano Celentano con i Ragazzi della via Gluck? Mille storie, alcune anche tragiche, come la morte di Nino Briccolani dell’Arancia meccanica, a Monghidoro, fulminato da una scarica elettrica mentre montava i fari. O come la sera in cui Sbranco fu costretto, al cinema, a dimostrare ad un poliziotto cocciuto che il fagotto era uno strumento musicale non un ordigno».
Continua così, l’anonimo giornalista del «Resto del Carlino»:
«Nel libro di Antonio Rosetti sono raccontate mille storie, spesso raccolte dalla viva voce dei diretti protagonisti: Armando Savini, Enzo Vallicelli, Pasquale Venditto, il compianto Alberto Solfrini, Beppe Leoncini, Moreno Lombardi, Beppe Pippi, Alieto e Uberto Saragoni, Silver Soprani, Renzo ‘Pitone’ Tortora, Sbranco e tanti altri ancora. Poi l’impresario Willy David, Renato Lombardi, il mago delle amplificazioni, Ornella Vallicelli, leggendaria regina della Bussola, e musicisti non forlivesi ma che hanno trascorso anni e anni da noi e diventati poi celebri, come Jimmy Villotti (chitarrista dei Baci, poi con Paolo Conte), Patrizio Fariselli (membro dei Telstars, poi fondatore degli Area) e Claudio Golinelli (anche lui con i Baci e gli Helza Poppin e ora bassista di Vasco Rossi). Tutti insieme cavalcarono i sogni di un’epoca innocente dagli orizzonti infiniti, con gruppi dai nomi a volte improbabili, Spitfires, Baci, Cuori, Lorenz, Reattori caldi, Amici dell’Hobby, Arancia meccanica (unici ancora in attività con i Gazosa), Forum Livii, Helza Poppin, Nabla, Purghe elettriche e tanti altri ancora».
In tutto questo generale fermento, in estate la situazione si faceva ancor più caotica e interessante. Gran parte dei musicisti si spostava in Riviera, dove decine e decine di locali (prima dell’avvento delle discoteche e dei dj) richiedevano le performance musicali dei gruppi della zona e, al tempo stesso, dei grandi complessi (così venivano chiamate le band in quegli anni starordinari) che provenivano dall’estero, soprattutto da oltre Manica. In tal modo i giovani musicisti forlivesi e romagnoli potevano entrare in contatto con i più celebri ed esperti colleghi inglesi e tra loro avveniva un prezioso scambio di vedute che arricchiva il bagaglio culturale di entrambi.
E tra i numerosi gruppi stranieri che approdarono in Riviera vi furono certamente i Mott The Hopple, che giunsero in Romagna nell’estate del 1969. Nato in quello stesso anno dalle ceneri del gruppo Silence, per volontà del manager Guy Stevens, il cantante Stan Tippins era stato sostituito dal più esperto Ian Hunter e il nome del gruppo era stato cambiato in Mott the Hoople (titolo di una novella inglese scritta da Willard Manus).
Il primo omonimo album (“Mott the Hoople”) uscì proprio nel 1969 ed era caratterizzato dalle cover strumentali di “You Really Got Me” dei Kinks, dalla rockeggiante “Rock and Roll Queen” firmata dal chitarrista Mick Ralphs e dalla reinterpretazione di “Laugh at Me” di Sonny Bono & Cher. Il disco fu presentato in una delle prime esibizioni live del gruppo inglese alla Bat Caverna di Riccione, locale che oggi non esiste più e che fu molto in voga per tutti gli anni ’70.
Frequentato da moltissimi giovani, sia italiani sia stranieri, la Bat Caverna era situata nel seminterrato dell’Hotel Nautico, al porto di Riccione, e nel suo look si ispirava ai fumetti di Batman. Va detto che, a quei tempi, non erano ancora state varate, né tantomeno applicate le rigide leggi sui diritti d’autore e d’immagine per cui era del tutto normale che un celebre personaggio come Batman potesse essere utilizzato da chiunque a proprio uso e consumo senza dover richiedere alcun tipo di autorizzazione ai suoi creatori e senza pagare alcunché agli stessi.
La Bat Caverna, che nel 2018 è stata riaperta per una sola serata celebrativa, aveva le pareti dipinte di nero e vi si accedeva da una scala piuttosto ripida. Pur essendo una discoteca, vi si esibivano gruppi musicali tra cui i Nobili, I Nati Stanchi e, come si è detto, i Mott The Hoople (agosto 69) ai loro esordi in Italia.
In quel periodo, le discoteche e i locali da ballo lavoravano principalmente la domenica pomeriggio, perché gli studenti, che dovevano alzarsi presto la mattina dopo e che erano i clienti più affezionati e numerosi, alla sera non andavano a ballare, mentre il sabato, soprattutto per mancanza di soldi non vi era ancora l’abitudine a frequentare le discoteche.
Testimoni dell’epoca sono pronti a giurare che Guy Stevens, manager dei Mott The Hopple, fu costretto a chiamare dall’Inghilterra un giovane chitarrista, in sostituzione del titolare Mick Ralphs che, per un qualche problema di salute o altro, era impossibilitato a salire sul palco della Bat Caverna. Scelto nell’entourage del gruppo, il sostituto individuato fu l’allora ventiduenne e ricciolutissimo David Jones, che da un paio d’anni aveva assunto lo pseudonimo di David Bowie e che proprio un mese prima aveva dato alle stampe il brano che lo avrebbe consacrato al successo dopo una lunga gavetta: “Space Oddity”.
Sempre gli stessi testimoni assicurano che molti gruppi musicali che suonavano in Riviera erano soliti prendere alloggio a Forlì, dove i prezzi degli alberghi erano più economici rispetto a quelli della costa e soprattutto la posizione geografica era più strategica per gli spostamenti lungo la Penisola. E l’albergo più frequentato dai musicisti di allora era il piccolo Hotel Gardenia in via Archimede Mellini a Forlì, ancora oggi in attività.
Tutto ciò porta a ipotizzare che David Bowie, l’uomo dai mille volti (Ziggy Stardust, il Duca Bianco, l’Uomo che cadde sulla terra, ecc.), certamente uno tra gli artisti più influenti del XX secolo di cui si piange ancora oggi la scomparsa avvenuta il 10 gennaio 2016, nell’anno di grazia 1969, avrebbe perciò calpestato il suolo romagnolo e quello forlivese. È una suggestione molto forte, in gran parte da verificare magari negli archivi dell’Hotel Gardenia, tuttavia molti sono gli indizi ci portano a ritenerla fondata.
E Forlì avrebbe portato fortuna al giovane Bowie che, da quel momento in poi, iniziò la sua inarrestabile scalata al successo planetario, anche se il breve soggiorno forlivese risulta del tutto marginale e non è riportato in nessuna biografia.
Di certo però l’artista londinese fu in Italia proprio in quell’estate. A sole tre settimane dall’incisione e in tempo per la storica impresa dell’Apollo 11 (20 luglio 1969, Neil Armstrong, primo uomo sulla luna: “Un piccolo passo per un uomo, un grande passo per l’umanità”), il 45 giri “Space Oddity” era stato pubblicato nove giorni prima, l’11 luglio, in due versioni differenti, con una buona accoglienza da parte della stampa specializzata. Alla fine di luglio, Bowie si recò a La Valletta per il Festival della canzone di Malta ed eseguì due canzoni: “When I Live My Dream” e l’inedita “No-One; Someone”. Pochi giorni dopo, a Musumanno Terme, in provincia di Pistoia, si tenne la sua prima esibizione in Italia (per la successiva mitica performance bisognerà attendere il 1987 allo stadio “Artemio Franchi” di Firenze, alla quale chi scrive era presente), per il Premio Internazionale del Disco, dove vinse il suo primo riconoscimento per “When I Live My Dream”.
Dalla Toscana alla Romagna il passo e breve per cui anche questo dato confermerebbe la concreta possibilità che David Bowie possa essere stato chiamato dagli amici Mott The Hopple a Riccione per prendere parte alle loro esibizioni alla Bat Caverna.
Va infine segnalato che lo stesso Bowie restò legato al gruppo di Ian Hunter da una sincera e profonda amicizia. Per loro scrisse, infatti, uno dei brani più belli della sua intera e sterminata produzione: “All the young dudes”. Pubblicato nel 1972, la canzone divenne in breve un vero e proprio inno giovanile. Fu il più grande successo dei Mott The Hopple e caratterizzò un’intera generazione di ragazzi inglesi e non solo che, orfani dei Beatles, si affacciava agli anni ’70 a caccia di nuovi idoli e di nuove tendenze, in questo accomunata alla generazione dei giovani musicisti romagnoli e forlivesi raccontata in “Senza tempo noi” di Antonio Rosetti di cui attendiamo con ansia la seconda edizione.
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