Paolo Lucchi, sindaco di Cesena, interviene sul tema dell'azzeramento dei contributi all'editoria
Azzeramento del fondo dell’editoria. Questa la proposta dei 5Stelle. Una proposta che sarebbe una mazzata al pluralismo dell’informazione. In questo momento i contributi all’editoria sono diretti ai giornali locali, editi da cooperative, quelli che hanno una dimensione che difficilmente permette di poter stare in un mercato complicato e costoso come quello dell’editoria. Invece non andrebbe ad intaccare i giornali nazionali che da tempo non prendono contributi.
In questo momento sono molte le voci che si sono levate in difesa della piccole realtà editoriali. C’è stato, ad esempio, una nota di Legacoop Romagna. In merito il sindaco di Cesena risponde al grido d’allarme lanciato da Legacoop.
“La libertà di informazione (parte integrante della libertà di espressione) è un valore fondamentale. Proprio per questo oggi è necessario tenere alta l’attenzione anche su alcune vicende italiane, poiché i loro esiti potrebbero influenzare in modo molto pesante il pluralismo dell’informazione”.
Con queste parole, il 16 gennaio 2015, mi rivolgevo ai parlamentari locali di allora, in riferimento ad una proposta del Movimento 5 Stelle di azzerare il “Fondo per l’editoria”. Allora, per fortuna, il rischio fu scongiurato. Ma oggi si ripresenta, e con ancora maggiore forza, dal momento che – come segnalate nella vostra lettera del 19 ottobre – martedì 16 ottobre la Commissione Bilancio della Camera dei Deputati ha discusso una risoluzione di maggioranza inserita nella nota di accompagnamento al Def in cui si impegna il Governo ad un graduale azzeramento, a partire dal 2019, del Fondo pubblico per l’editoria.
A beneficiare di questo contributo – che, come voi stessi ricordate, è riservato a testate edite da cooperative di giornalisti o da fondazioni o enti morali, comunque senza scopo di lucro e con l’obbligo in statuto di non dividere eventuali utili – sono centinaia di quotidiani provinciali e regionali, quelli delle minoranze linguistiche, delle associazioni dei non vedenti e dei consumatori, oltre ad un centinaio tra settimanali e mensili di stampo cattolico, editi da diocesi e parrocchie. Testate che, tutte insieme, garantiscono una capillare informazione di prossimità, vicina ai territori e ai cittadini. Le testate di informazione locale svolgono infatti una funzione straordinaria nel raccontare e documentare la vita della comunità, nel mantenere stretto il contatto fra cittadini, istituzioni, rappresentanze associative e sociali, contribuendo ad alimentare il dibattito sui temi quotidiani e sulle prospettive future delle città e dei territori. Il loro ruolo è prezioso ed insostituibile.
L’azzeramento dei fondi all’editoria porterebbe invece alla chiusura di tutte queste testate, con un duplice, nefasto, risultato: un deficit di libera informazione in decine e decine di province italiane, tra cui la nostra, e la perdita di migliaia di posti di lavoro (se si considerano i numeri del settore e dell’indotto, sono infatti circa diecimila i posti di lavoro che vengono messi a rischio da questa norma: giornalisti, poligrafici, tecnici, edicole, distribuzione, tipografie, collaboratori, agenzie di service, ecc.).
Le misure a sostegno del settore editoriale possono essere sicuramente migliorate, ma non devono essere cancellate. Se riforma deve essere, insomma, che sia, ma a carte ferme e senza mettere in crisi gravissima nessuno.
Per questo auspico che il Parlamento, anche grazie al lavoro dei parlamentari del nostro territorio, faccia valere la propria autonomia e scelga di salvaguardare il pluralismo dell’informazione, pilastro insostituibile di una democrazia liberale.
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