Analisi di Sebastiano Castellucci su cosa fare per arginare il consenso del leader leghista
L’esuberanza di Salvini porta Sebastiano Castellucci, giovane consigliere comunale, a fare alcune considerazioni.
Il ministro della Comunicazione Salvini ha un’opinione su tutto ciò che capita nel mondo: politica, diplomazia, economia, etica, sanità, religione, sport, gossip, vita privata e coscienza pubblica. Ha sempre la risposta pronta e ha l’incredibile fortuna di trovarsi sempre dalla parte della ragione. Sono continuamente – ed inesorabilmente – gli altri a sbagliare, che siano Gattuso, Juncker, Di Maio, il Capo dello Stato o il Papa.
Ne spara talmente tante, ogni giorno, che diventa difficile ricordarsele tutte: su cento, un paio fanno notizia, le altre invece fanno solo numero. Dal momento che il Governo, e quindi le scelte strategiche del Paese, sono affidate a Salvini, che ha colmato il vuoto politico lasciato dai Cinque Stelle, capaci solo di epurarsi tra di loro e mandare a quel paese gli avversarsi, le responsabilità delle scelte o delle mancate scelte sono del capo della Lega.
Ed è sintomo forse del poco rispetto che noi Italiani abbiamo verso lo Stato che accettiamo e anzi acclamiamo un vice premier che fino a qualche anno fa era tra le fila di coloro che del Tricolore avrebbero fatto lo stesso uso della carta igienica. Il concetto, l’idea di Patria e al contempo la salvaguardia dei simboli identitari e delle tradizioni, piccoli o grandi, che caratterizzano gli Italiani nelle singole regioni da Nord a Sud sono stati per troppo tempo lasciati nelle mani della destra.
Non è possibile, oggi, che interprete di questi sentimenti sia uno come Salvini. Non solo perché è indegno, ma perché utilizza in maniera strumentale sentimenti forti, come l’appartenenza alla propria terra, per spacciare a buon mercato il livore e l’intolleranza verso gli altri e i diversi. Occorre invece difendersi sì da una globalizzazione massacrante, che permette alle classi più povere delle società ricche di comprare vestiti ed oggetti fatti da quasi-schiavi in Asia, in un circolo vizioso che arricchisce solo pochissimi sulla Terra e impoverisce sempre di più il resto dell’umanità.
Ma bisogna farlo in modo intelligente, non ponendo i poveri contro altri poveri in una sorta di battaglia destinata ad avere solo perdenti. E bisogna farlo in una prospettiva europea. Dobbiamo infatti essere consapevoli che le decisioni politiche ed economiche che incidono sulla vita del mondo stanno scivolando sempre di più verso Paesi di cui sappiamo a malapena le capitali e che fino a qualche decennio fa erano dittature. In termini economici e demografici, siamo destinati a perdere rilevanza se le cose rimangono come sono o anzi vengono aggravate da governi che perseguono il consenso elettorale ogni giorno.
La dimensione europea, anche per chi non crede nel profondo progetto di pace tra popoli storicamente sanguinari, diventa allora una necessità, perché solo uniti non si scompare di fronte ai nuovi giganti del mondo come Cina, India, Indonesia o Brasile. L’Unione Europea va certo cambiata, anche profondamente, ma non va distrutta e presa a picconate: altrimenti le nuove generazioni si troveranno a vivere in un’Europa (e quindi in un’Italia) fatta di ricordi del passato e non di prospettive future. Che l’Italia, Paese fondatore dell’Unione Europea, da sempre contro la guerra, che ha in Costituzione il perseguimento della pace, si trovi a fare le avances ad Orban, uno che utilizza l’Europa come fosse un tram, salendo e scendendo a seconda dei propri fini, disonora la nostra storia. Proprio quell’Orban che non ha mosso un dito sui migranti, che non appena sforiamo nei conti pubblici ci spara contro chiedendo sanzioni a sfavore dell’Italia. Il legittimo cambiamento invocato può essere limitato a questa roba qua?
Penso di no. Ci sono segnali nel mondo che sembrano lasciare intravedere, finalmente, crepe in questo neoliberismo sfrenato, allucinato e allucinante, che spolpa le persone e le considera solo consumatori e non cittadini. Senza allusioni rivoluzionarie, che lasciano il tempo che trovano, è unanimemente arrivato il momento di ragionare su come cambiare le direttive su cui muove il mondo. Fino ad allora, le forze progressiste e moderate sono destinate a perdere, perché di fronte alle forti ingiustizie e agli squilibri evidenti, le soluzioni semplici e facili confortano gli animi di chi, ogni giorno, è più esposto e si sente schiacciato dai problemi. Col paradosso che molti di questi problemi, come la globalizzazione senza regole, sono stati causati da forze politiche oggi vincenti nel mondo, e destinatarie della fiducia proprio delle fasce di popolazione più colpite e più fragili.
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