I collaboratori devono essere bravi e di personalità. Il vero numero uno non teme di essere oscurato
“Salvini è ovunque (non al Viminale)” titola oggi il Corriere della Sera. Il pezzo è di Milena Gabanelli e Gian Antonio Stella. In effetti, il ministro dell’Interno da un’interpretazione molto personale al suo ruolo. A Roma c’è pochissimo. È fuori di dubbio che abbia totalmente delegato la gestione quotidiana e non e lui si occupi solo delle strategie. È giusto?
Secondo me no. Anche perché i continui spostamenti di Salvini non sono giustificati da esigenze del ministero che guida, ma, soprattutto dalla campagna elettorale. Prima in Abruzzo, poi in Sardegna, ora in Basilicata. Quindi ci saranno le Europee e le regionali. Il che mi fa pensare che nei prossimi tre mesi Salvini a Roma ci sarà pochissimo.
Innanzitutto ho una curiosità: chi paga le spese? Quando va a fare campagna elettorale spostamenti, vitto e alloggio non dovrebbero essere a carico dello Stato. Nello stesso tempo però c’è un aspetto inconfutabile: il ministro si fida ciecamente dei suoi collaboratori. E devono essere anche bravi se riescono a gestire una macchina complessa come il ministero dell’Interno.
Quella della scelta dei collaboratori è un tema, secondo me, molto importante. Sia in politica che nel privato. Ci sono diverse scuole di pensiero. Io non ho dubbi: debbono essere bravi e con della personalità. Parto da un presupposto: se è vero che dietro un grande uomo c’è una grande donna, è anche vero che il grande manager è quello che si circonda di collaboratori bravi e li valorizza. La squadra è l’elemento più importante di una struttura che funziona. È necessaria sia nella gestione quotidiana che per produrre quella innovazione fondamentale per la crescita.
Un leader, se è tale, non deve aver paura di essere oscurato. E non è neppure vero che un leader che non si preoccupa dell’immagine è debole. Anzi, è il contrario. Decentrare e restare un passo indietro sono caratteristiche che a un leader non dovrebbero mancare. Nello stesso tempo deve far sentire la sua presenza decisionale senza essere invasivo. Naturalmente serve intelligenza e metodo anche da parte dei collaboratori. Devono sapere fin dove si possono spingere senza commettere l’errore di abusare dell’autonomia che gli è stata concessa.
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