Giovedì 21 marzo 2019, alle ore 20.45, presso la Chiesa dei Servi, via Andrea Costa, 27, a Forlimpopoli, si terrà la presentazione del programma della festa di metà Quaresima.
A seguire si svolgerà un incontro sulle feste e sulle tradizioni romagnole con Eraldo Baldini, Marco Viroli e Gabriele Zelli.
In apertura della serata interverrà Mirco Campri, presidente Ente Folkloristico e Culturale Forlimpopolese, organizzatore della Segavecchia, che presenterà l’edizione 2019 della Festa di metà Quaresima.
Mirco Campri porrà l’accento su come la Segavecchia sia stata salvata e su come il grande lavoro svolto dai tanti volontari riporterà già da quest’anno la Segavecchia ai suoi antichi splendori.
La Segavecchia è viva e vegeta e torna più ricca e più forte che mai, perché la burocrazia non l’ha uccisa, anzi, al contrario, ne ha rafforzate le radici.
A seguire, Eraldo Baldini, scrittore e antropologo, presenterà il suo libro:
“I giorni del sacro e del magico. Tradizioni «dimenticate» del ciclo dell’anno in Romagna” («Il Ponte Vecchio», Cesena)
Nel libro di Baldini un intero capitolo è dedicato alla Segavecchia, ai suoi significati e ai suoi simbolismi.
Per concludere Marco Viroli e Gabriele Zelli racconteranno alcuni aneddoti tratti dai loro libri:
“Fatti e misfatti a Forlì e in Romagna” volume 1, 2 e 3.
L’invito a partecipare è aperto a tutti, la serata è a ingresso libero.
La tradizione della Segavecchia in Romagna
(estratti dal libro “I giorni del sacro e del magico. Tradizioni «dimenticate» del ciclo dell’anno in Romagna” di Eraldo Baldini)
La tradizione del “sacrificio” di un fantoccio raffigurante una vecchia nel giovedì di mezza Quaresima era un tempo diffusa in una vasta area europea e veniva celebrata più o meno intensamente in molti centri della Romagna. Quasi ovunque in Romagna, poi, vigeva la consuetudine, da parte dei più piccoli, di chiedere alle donne anziane il dono della Segavecchia, che consisteva più che altro in frutta secca e in qualche altro dolcetto, o di costruire con stracci e altro un fantoccio della Vecchia ornato di frutti e andare in giro per le strade gridando una cantilena.
In diverse zone d’Europa e d’Italia si “sacrificava” una Vecchia rappresentata da un fantoccio, a volte bruciandola, più spesso (ed è in questo che vanno individuati la forma originale e il senso del rito) segandone il simulacro all’altezza dell’addome; dallo squarcio prodotto uscivano frutta secca, dolci, eccetera.
In realtà la Vecchia che viene segata appare tutt’altro che definitivamente sterile: dal suo ventre gravido escono infatti frutti ricchi e copiosi. Insomma, il simulacro “sacrificato” non rappresenta un’energia esaurita da eliminare, quanto piuttosto un’energia che deve rinnovarsi, superando la contingenza calendariale e stagionale: superamento che viene propiziato e forzato col rito.
Ma la Vecchia che viene segata a mezza Quaresima non ha nulla di “spaventoso”, e ciò che simula col rito non è semplicemente una “uccisione”: è piuttosto un parto, per quanto volutamente – e brutalmente- accelerato e figurato, cioè chiesto e ottenuto con l’auto della magia imitativa, quella per cui si ottiene un risultato simulandone gli effetti.
Il fatto che il rito avvenga a metà Quaresima l’ha certamente caricato anche dell’intento di simboleggiare e sottolineare che si è giunti a metà del lungo periodo di restrizioni alimentari: restrizioni non solo richieste dalle regole religiose, ma anche motivate e imposte dal fatto che le scorte alimentari, sul nascere della primavera, sono praticamente esaurite o molto scarse.
La Segavecchia: tra sacro e profano è la festa di metà Quaresima a Forlimpopoli
(tratto dal libro “Fatti e misfatti a Forlì e in Romagna” volume 3, di Marco Viroli e Gabriele Zelli)
Il segreto del successo della Segavecchia, che si rinnova di anno in anno a Forlimpopoli, sta nel mistero e nella magia che le aleggia intorno. Le sue origini si perdono nella notte dei tempi. Anche se alcuni documenti ne attestano l’esistenza già nel XIV secolo, le sue radici sembrano ancora più antiche e sarebbero da ricercare nei riti celtici della vita-morte-vita e nelle feste del mondo rurale.
La vecchia segata rappresenterebbe la fine dell’inverno e il ritorno della primavera, carica di frutti e doni per gli uomini. Alcuni antropologi identificano come “vecchia” l’ultimo covone mietuto, e ritengono che il nome corrisponda al suo sacrificio, da collegarsi al ricordo di atavici riti agrari.
Altri sostengono che la vecchia rappresenterebbe il simbolo della Terra che, dopo il gelo dell’inverno, si riapre e si prepara a produrre e a offrire i suoi frutti. Lo squarcio prodotto nel ventre della vecchia annuncia e prepara il parto della Terra, gravida di raccolti.
Una leggenda più vicina a noi nel tempo narra di come a una giovane sposa, trovatasi incinta in tempo di Quaresima, venne voglia di mangiare un salsicciotto bolognese. Tanta era forte questo desiderio che «se lo trangugi ancora crudo tutto intero», commettendo un peccato mortale in periodo di astinenza dalla carne. Per questa colpa la donna sarebbe stata condannata con l’accusa di stregoneria a una terribile pena: essere segata a metà da due boia incappucciati.
Dalla leggenda alla storia il passo non è breve. Nessuno è, infatti, in grado di affermare con certezza quale sia stata la prima edizione di una delle feste più antiche della Romagna. Da un raro documento, datato 17 marzo 1667 e conservato presso le Raccolte Piancastelli, si apprende che si era in procinto di «(…) segare la Vecchia due volte sessagenaria e arcidecrepita ne la segata di strada maggiore (…)». Da questo si evince che, se a quell’epoca la vecchia era già «due volte sessagenaria» (120 anni), l’origine della tradizione della Segavecchia di Forlimpopoli risalirebbe all’incirca alla metà del Cinquecento.
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