Tra queste mura, a un passo da piazza Maggiore, fino a pochi mesi fa si vendevano tessuti. Oggi piatti di pasta e altre prelibatezze. “Il vecchio proprietario si è spostato in provincia. Non aveva mercato. È normale che la ristorazione sostituisca il commercio tradizionale, d’altronde la domanda è quella. L’offerta deve adeguarsi”. Francesco Magari, ex presidente dei panificatori di Bologna, ha inaugurato tre anni fa un nuovo ristorante di successo, “Adesso pasta”. Questo l’incipit dell’articolo di apertura apparso su La Stampa di ieri che ha dedicato due pagine (12/13) a un’inchiesta su come cambiano i centri storici.
Nella stessa colonna, ma più avanti, il pezzo di Nicola Lillo, inviato a Bologna, recita: i numeri della Confcommercio mostrano questa rivoluzione: in dieci anni – dal 2008 al 2018 – i negozi al dettaglio sono scesi dell’11 per cento, al contrario alberghi, ristoranti e bar sono aumentati del 15 per cento. Un ricambio in piena regola. Non è un fenomeno che interessa solo le città turistiche più note, come Firenze o Venezia. Anche altri centri stanno subendo un cambiamento radicale. Poi, però, Lillo mette in guardia scrivendo: ora però c’è chi mette in guardia dal rischio “bolla”, come denuncia l’amministratore delegato di Nomisma, Luca Dondi Dall’Orologio.
Ebbene, io credo che quando si parla del centro di Cesena non si possa non tenere conto di questi dati che, per la verità, non sono una novità. Le associazioni del commercio da tempo segnalano che nei centri storici (Cesena compreso) c’è un aumento dei pubblici esercizi a scapito di un commercio tradizionale sempre più penalizzato dall’online. Nella penultima assemblea annuale di Confesercenti, tenutasi nella stupenda Villa Silvia, ci fu una forte accentuazione proprio su questo tema.
Perciò, io credo, che chi si candida a governare la città debba partire da questo presupposto per elaborare una proposta che possa garantire sviluppo ad un centro storico che di per sé è frequentato. L’obiettivo però non deve essere distribuire le attuali presenze, ma aumentarle. E per riuscirci serve organizzare delle iniziative. Innanzitutto su un fronte: gli appuntamenti fissi. Servono per fidelizzare. Poi eventi veri e propri. Ma non solo di quelli costosi soprattutto dal punto di vista degli allestimenti (montaggio o smontaggio). Io, ad esempio, continuo a credere che sarebbe una buona idea creare, in piazza della Libertà, un box con delle vetrate dentro al quale farci uno studio radiofonico dove una delle nostre emittenti ogni giorno, di pomeriggio, ci facesse alcune ore di diretta coinvolgendo, in qualche modo, anche le persone che passeggiano. Poi, al limite, si potrebbe pensare a qualcosa del genere anche con una tivù.
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