Perché non mi piace Salvini

Politicamente siamo distanti. Ma c'è tanta differenza anche nel metodo

Il comizio cesenate di Salvini non ha aggiunto e non ha tolto niente alla considerazione che ho di lui, come politico naturalmente. Non avevo dubbi che fosse così, però volevo capire se seguire un suo comizio mi confermava le sensazioni che avevo. Per quello anche ieri sera ho avuto un approccio molto laico. Anzi, agnostico.

Però non posso nascondere che è possibile che il mio giudizio su Salvini sia condizionato anche dalla diversa visione politica che abbiamo. Che è sempre più marcata. E non può certamente bastare un decreto sblocca cantieri per avvicinare un keynesiano al leader leghista. La politica di Keynes è molto altro. È vero che, soprattutto nei momenti di crisi, ritiene che si debba supportare l’economia con interventi pubblici nelle infrastrutture. Ma è anche molto di più. Innanzitutto prevede di tenere sotto controllo la parte corrente del bilancio e di chiuderla in pareggio. Cosa che Salvini non ha assolutamente intenzione di fare.

Piazza Almerico durante il comizio di Salvini

Inoltre, se ci fosse Keynes, si preoccuperebbe molto di più dello spread di quanto non facciano  Salvini e il governo. Spread alto significa spendere di più per rifinanziare il debito pubblico ed appesantire il bilancio corrente di cui sopra. Inoltre si riduce il margine di manovra delle banche in ambito creditizio. E gli effetti si stanno vedendo. Ne ha parlato questa mattina il direttore di Confindustria a Class Cnbc, canale economico del bouquet di Sky.

Di certo la mia considerazione nei confronti di Salvini non è aumentata dopo il comizio di ieri. Per carità, è bravo a motivare i suoi fans. Sa spingere i bottoni giusti. Usa slogan efficaci. Mi pare di capire che siano un po’ sempre gli stessi: strali contro i migranti, l’Unione europea, la sinistra. Oppure rilancio del taglio delle tasse e del perseguimento di una lotta all’immigrazione ancora più determinata. Però non è quello il problema. Nella nuova politica in un comizio l’utilizzo degli slogan è fondamentale. In quei frangenti si parla alla pancia. Bisogna essere diretti. Non c’è spazio per i ragionamenti. Quelli facevano parte di un’altra stagione. Mi ricordo, ad esempio, un comizio di Bertinotti a Ronta. Certo, ogni tanto cercava l’applauso (ci sta), ma fu talmente didascalico nell’esporre la sua posizione che era un piacere ascoltarlo. Non sono mai stato un suo elettore e non lo sono diventato, ma mi conquistò. Perché è bello sentire un ragionamento.

Matteo Salvini

Cosa che non è avvenuta ieri sera quando, oltretutto, alla mancanza di contenuti è stato unito anche un tono non propriamente adeguato. Almeno a mio giudizio. Ad esempio, a me non piace sentire una persona, come ha fatto Salvini ieri, che dal palco usa il termine “rompere le palle” e quando lo fa alza i decibel della voce. Non sono un bacchettone, anzi, tutt’altro, però credo che a tutto ci sia un limite. Il tutto poi si riassume solo nella volontà di mostrare i muscoli, sempre e di continuo. Non concordo. Resto dell’idea che il fine non giustifichi i mezzi.

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Davide Buratti

Davide Buratti, giornalista professionista, fondatore della Cooperativa Editoriale Giornali Associati che pubblica il Corriere Romagna, di cui dal 1994 e per 20 anni è stato responsabile della redazione di Cesena. Oggi in pensione scrive di politica, economia e attualità a 360 gradi nel suo blog per Romagna Post. Per contatti utilizzate il box commenti sotto gli articoli.