Post di Gian Paolo Castagnoli
Questo post di Gian Paolo Castagnoli è dedicato al giornalismo. La sua è la mia professione.
Per fortuna, da giornalista, ma prima ancora da cittadino, da lettore e da telespettatore, posso dire che per ogni Bruno Vespa c’è stato un Enzo Biagi, per ogni Feltri c’è stato un Siani, per ogni Farina c’è stato un Fava.
Per sfortuna, mi tocca peró anche dire che il secondo, il quarto e il sesto sono morti.
Il problema non è se l’informazione sia buona o cattiva, se vada difesa e aiutata o se vada attaccata e affossata. L’informazione in sé è sempre buona e, così come la democrazia a cui è legata a doppio filo, andrebbe sempre protetta da tutti come una perla di immenso valore.
Il nodo è un altro: spesso chi fa informazione trasforma quella perla in sterco.
E allora io, che sono allergico a ogni automatica difesa corporativa e ad ogni appartenenza acritica a qualsiasi “divisa”, dico forte e chiaro che un collega che minimizza e a tratti irride la tragedia di una donna che vive l’incubo della violenza del solito maschio che scambia una fidanzata, una compagna o una moglie per un oggetto che possiede e che ha il diritto di distruggere non solo non è un giornalista degno di questo nome, ma è una persona squallida.
Nel mio piccolo, mi riconosco invece in quello che disse Biagi per spiegare perché avesse scelto di dedicare la propria vita all’informazione: «Ho sempre sognato di fare il giornalista, lo scrissi anche in un tema alle medie: lo immaginavo come un “vendicatore” capace di riparare torti e ingiustizie. Ed ero convinto che quel mestiere mi avrebbe anche portato a scoprire il mondo».
Non so quanto oggi un giornalista sia in grado di riparare ingiustizie, ma deve essere almeno in grado di riconoscerle e di raccontarle senza paura. E quella scoperta del mondo che abbiamo il diritto e il dovere e anche il privilegio di fare va fatta sempre con grande attenzione e rispetto per vite a pezzi che a volte dobbiamo raccontare.
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