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Scacciare il veleno della propaganda

I punti necessari per lo sviluppo continuano ad essere ignorati. Eppure c'è chi li ricorda motivandoli

Ha ragione Francesco Boccia. A Capri, dal palco del convegno dei giovani imprenditori, il ministro degli Affari regionali ha detto che bisogna scacciare il veleno della propaganda. Aggiungendo che bisogna farlo in fretta per “entrare nel merito delle questioni” dove i punti di incontro diventano spesso più a portata di mano.


Il problema è che con la propaganda non si affrontano i veri nodi dell’Italia. Nello scorso fine settimana ci sono stati due importanti appuntamenti: manifestazione in piazza del centrodestra e alla Leopolda il lancio definitivo del partito di Renzi. In entrambi i casi gli slogan si sono sprecati, ma i temi concreti sono stati in panchina. Lo stesso dicasi per le fibrillazioni nella maggioranza di governo. Il tutto per un’affannosa ricerca del consenso. Potrebbe anche andare bene se fosse fine a se stessa. Il guaio è che anche nel caso siano chiamati a governare poi si comportano allo stesso modo provocando i guasti come quelli fatti dall’esecutivo Lega/5Stelle.

Eppure, per fare cose di buon senso, sarebbe sufficiente prendere in esame gli studi che vengono fatti. Mi rifiuto di credere, ad esempio, che i leader non abbiano letto il rapporto 2019 della Fondazione Nordest. Studia le dinamiche di un’ area del Paese nella quale si è concentrata la crescita. È quella con un reddito pro capite superiore e tassi di disoccupazione inferiori a quelli della altre regioni. La identifica nel “pentagono dello sviluppo”: Triveneto, Emilia Romagna e Lombardia (con l’aggiunta di Firenze).


Lo studio analizza sia i punti di forza che le debolezze. E, su queste ultime, sarebbe utile che la politica si concentrasse per portare gli aggiustamenti necessari. Tra gli aspetti meno positivi c’è  l’istruzione: la popolazione in possesso di un titolo di studio terziario è nella media – non brillante – italiana. Il Pentagono, poi, soffre del cronico ritardo del Paese sul fronte degli investimenti sia pubblici che privati. Non a caso nel confronto con le aree più sviluppate d’Europa, il Pentagono dimostra di essere al passo per Pil pro capite, tasso di disoccupazione e grado di apertura commerciale, e di avere quasi completamente recuperato il gap in termini di accesso alla banda larga. Molto meno confortante il confronto proprio su istruzione e rapporto fra investimenti e prodotto interno lordo. Inutile dire che accumulare ritardo su capitale umano, infrastrutture e tecnologia può mettere a rischio il futuro e la resilienza di questa area.

Il Rapporto analizza anche il tema della fuga dei cervelli. Il quadro è preoccupante: nel 2018 se ne sono andati 285mila italiani; in particolare persone fra i 18 e i 44 anni, il 30% laureati. Oltre la metà proprio dal Pentagono, che non sa compensare la perdita attraendo altrettanti talenti dall’estero.

L’analisi è scontata: senza un cambiamento delle leggi che ci governano non cresceremo mai.  Tra le richieste non poteva mancare la lotta alla burocrazia per accorciare il processo decisionale. Avrebbe un costo zero è una resa altissima.

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