Successo per la presentazione del libro di Emanuela Penni.
Ha suscitato notevole interesse presso la cittadinanza, che è affluita numerosa, la presentazione del libro “Dante e i mosaici del Torcello” di Emanuela Penni, Edizioni Il Girasole, che si è svolta nei giorni scorsi presso la Sala parrocchiale di San Giuseppe Artigiano di Forlì. La platea, di oltre un centinaio di persone, ha dimostrato come ancora oggi la storia dantesca affascini, attiri e incuriosisca molti.
Nell’introdurre la serata Gabriele Zelli, cultore di storia locale, ha sottolineato come la città di Forlì si possa davvero definire dantesca, per la sua storia e per la straordinaria ospitalità offerta al Sommo Poeta. Nella Commedia la Romagna occupa una parte essenziale, il che dimostra quale e quanta conoscenza Dante avesse acquisito dei luoghi, delle famiglie e degli uomini di quella regione. Vengono menzionate tutte le città e i castelli di una certa importanza, come Forlì, Ravenna, Cesena, Rimini, Faenza, Bagnacavallo, Bertinoro, Castrocaro, Cervia, San Leo, Verrucchio; così anche i fiumi principali come il Reno, il Rubicone, il Santerno, il Lamone, l’Acquacheta-Montone, il Savio; e le famiglie nobili degli Anastasi, dei Traversari, dei Manfredi, dei Malatesta, dei Paulucci de’ Calboli, dei Da Polenta, degli Ordelaffi, dei Pagani, degli Onesti, di alcune delle quali descrive gli stemmi e le imprese. Vi si trova inoltre il ricordo di Guido del Duca, di Pietro Traversari, di Pier Damiano, di Pietro degli Onesti, di Guido e di Giovanna da Montefeltro, di Arrigo Mainardi, di Ranieri e Fulcieri de’ Calboli, di Ugolino de’ Fantoli, di Federico Tignoso, di Lizio di Valbona e di tanti altri. Principalmente da questo fatto, messo a confronto con “la nessuna o scarsissima menzione e conoscenza della Romagna nelle opere anteriori”, anche Giovanni Pascoli dedusse che Dante “la Comedia la scrisse, per gran parte, quando viveva in Romagna”.
Nel volume, che porta la prefazione di don Erio Castellucci, arcivescovo di Modena-Nonantola, l’autrice Emanuela Penni, facendo riferimento a testi storici e soprattutto al mosaico del Giudizio Universale di Torcello, il più antico e grande d’Europa, sostiene che Dante abbia visitato Venezia molto prima del 1321 come sempre si è pensato. La possibilità che Dante tra il 1303 e il 1305 sia stato a Padova e di conseguenza anche nella vicina Venezia, dove risiedeva l’amico poeta Quirini Giovanni, e in particolare abbia visitato la cattedrale del Torcello, è abbastanza plausibile.
Nel 1300 era iniziato l’esilio forzato di Dante dalla sua Firenze. Tra il maggio 1303 e il marzo 1304, il poeta trovò ospitalità a Verona presso gli Scaligeri. Più difficile seguire Dante nel periodo successivo, essendo molto poche le testimonianze, anche se da varie fonti risulta più che probabile che il poeta, aiuto e segretario degli Oderlaffi a Forlì, nel 1303 e ambasciatore a Verona presso gli Scaligeri, si trovasse a Padova tra il 1304 e il 1305. Sembra poi plausibile che Dante e Giotto si siano recati all’isola di Torcello ad ammirare il mosaico del “Giudizio universale” della Basilica di Santa Maria Assunta.
Gli studiosi, compresa la forlivese Emanuela Penni, sostengono che sia Giotto sia Dante trassero ispirazione per le loro opere dal mosaico del Giudizio Universale presente in questo luogo di culto.
Dante stava scrivendo la cantica dell’Inferno e Giotto stava affrescando la sua versione del Giudizio. Se è evidente che il Satana di Giotto divora i dannati proprio come quello del mosaico del Giudizio Universale del Battistero di San Giovanni a Firenze, opera di Coppo di Marcovaldo , è anche documentato che il Satana del mosaico di Torcello è il primo in assoluto ad essere raffigurato mentre divora i dannati, anche se questi vengono gettati tra le sue fauci da altri demoni, mentre lui tiene in grembo il piccolo Giuda.
Emanuela Penni sul possibile incontro tra Giotto e Dante a Padova ha ricordato che i due si citano a vicenda. L’Alighieri cita Giotto nel suo Purgatorio: “Credette Cimabue ne la pittura / tener lo campo, e ora ha Giotto il grido, / sì che la fama di colui è scura” La divina Commedia, Purgatorio, Canto XI, vv. 94-96). Mentre Giotto ha ritratto l’amico in uno dei volti effigiati nell’affresco giottesco del Giudizio Universale posto sopra l’ingresso della Cappella degli Scrovegni.
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