Nuova puntata de "La mia Albania" di Jacopo Rinaldini
Nuova puntata de “La mia Albania” di Jacopo Rinaldini.
Questo resoconto sfugge dalle dogmatiche regole della geografia, dal momento che non ho intenzione alcuna di incedere con ordine, bensì secondo le logiche del cuore. Mi domandano per quale motivo non parli di Tirana, delle rovine di Butrinto incastonate nel mosaico della storia, di Valona, di Saranda, dell’Occhio Blu e via dicendo. Ci sarà tempo, rispondo. Un passo alla volta, il nostro viaggio è appena cominciato.
Il mio proponimento è questo: vorrei rendere omaggio alla grande famiglia umana che mi ha accolto, la quale abita la terra d’Albania. Il mio soggiorno, il mio vagare tra i volti e i sorrisi è stato un grande abbraccio su un tappeto di velluto.
Narro la vita di tutti i giorni, racconto gesti e parole di uomini e donne che hanno reso unico il viaggio di cui sto trattando. Sono i miei fratelli e le mie sorelle e a loro sarò legato per tutta la vita.
Hanno un animo che si eleva molto più in alto dell’aquila impressa sulla bandiera che sventola su ogni balcone, ad ogni incrocio, ad ogni finestra, perfino sui pali della luce.
Anche qui, a Shen Vasil, è un pullulare di vita e bandiere: è l’ultimo agglomerato di case che si incontra prima di giungere a Saranda e segna la fine dei tornanti del Llogara e, logica conseguenza, della fatica. La mia piccola Fiat Panda, carica come non mai, ringrazia. Si scala dalla terza alla seconda marcia, imboccando una curva cieca che conduce direttamente al centro del piccolo paese.
Shen Vasil si presenta come un’oasi nel deserto. Al centro della piazza troneggia un albero enorme, il quale dà frescura e protezione ai passanti. E’ il custode, oltreché il vero punto di riferimento della zona: decide chi entra e chi no. Protegge gli abitanti da almeno un secolo, forse più. I tronchi sono due, annodati come vecchie corde di marinai, e si tengono stretti l’uno all’altro.
Il mondo balcanico, qui, pare fondersi con la tradizione norrena: è l’albero della vita?
E’ protetto da un muretto che gli gira tutt’attorno. Visto così sembra una rotonda viva, verdissima, pulsante d’allegria.
Sta scendendo la sera e sotto le sue antiche fronde si rincorrono bambini in bicicletta, uomini giocano a domino, donne discutono sull’indisciplina dei loro figli e fanno a gara a chi ha subito l’affronto peggiore, un venditore di pannocchie le abbrustolisce e le offre ai pochi turisti che ricordano pellegrini antichi.
In fondo, per Gerusalemme la via era quella, il passaggio obbligato.
Fermo la macchina dinanzi all’unico negozio presente sulla piazza: un market fornitissimo d’ogni cosa gestito da una seriosa signora seduta all’ingresso.
Il baule da tetto sulla Panda attira sguardi e tante battute. Lo so: non è una Mercedes – Benz. E’ piccola, un puntino nero sulla strada, rumorosa e va più piano d’una lumaca. Eppure, non ha mai tentennato, non s’è mai fermata.
Devo ringraziare la quattro ruote che mi ha condotto fino a lì: la sua lentezza mi ha permesso di assaporare la terra che mi sta ospitando. Lenta sì, però inarrestabile.
Mi dirigo verso il fuoco, le pannocchie bruciano e profumano. Per pochi Lek ne acquisto due. Faccio subito amicizia: << Viva Italia! >>, qualcuno mi dice.
<< Viva Albania! >>, faccio da eco.
Mangio insieme ai miei nuovi amici, sotto al grande albero. La meta svanisce e non ho quasi più voglia d’arrivare, per cui decido di fermarmi. La signora che gestisce il market, vista tutta la scena, mi raggiunge per offrirmi una rinfrancante bottiglia di Kos.
Lo yogurt scende e mi dà forza, ha il sapore della solidarietà umana. “Fushata e bekuar Shen Vasil”, sono le parole del ritornello di una canzone locale: “Shen Vasil campagna benedetta”. Benedetta come i suoi abitanti. Sulle facce di quei bambini che giocano attorno alla mia macchina vedo il sorriso del bambin Gesù. Sono puri e incorrotti. Il più piccolo di loro mi fa dono del suo pallone sgonfio. Lo prendo dalle sue mani come una reliquia. Gli accarezzo i capelli biondi, sudati, il volto raggiante di gioia. E’ tempo di ripartire: il mio è un arrivederci.
Ci ritroviamo ora: sulla tela che ho appena dipinto e sui fogli che ho appena riempito. Siamo legati.
A poca distanza, si trovano spiagge d’una bellezza abbacinante: è la complessità di Dio che sboccia e apre petali di indescrivibile purezza, una rosa sacra donata ai suoi figli. Lo ringrazio.
La montagna precipita nell’acqua turchese e sulle sue pareti rocciose si possono leggere tuttora incisioni in lingua greca: trattasi di invocazioni a divinità pagane risalenti al IV secolo avanti Cristo. I marinai domandavano protezione, affinché durante il viaggio non si verificassero disgrazie.
Numi senza età proteggete quest’umanità che ancora non ha terminato il suo viaggio.
Questo post è stato letto 233 volte