Nel corso dei prossimi mesi due importanti opere della Pinacoteca Comunale di Forlì come “Il Pestapepe” e “La dama dei gelsomini” saranno prestate a prestigiosi musei francesi per essere esposte in occasione di importanti rassegne d’arte. È un fatto sicuramente positivo che ci ha fatto pensare alle “disavventure” capitate ai due capolavori durante l’ultima guerra mondiale che abbiamo raccontato nel libro “I giorni che sconvolsero Forlì. 8 settembre 1943 – 10 dicembre 1944”, Società Editrice Il Ponte Vecchio, Cesena. .
Il 10 giugno 1940, su consiglio e indicazione di Antonio Mambelli, funzionario degli Istituti Culturali forlivesi, nonché componente del Comitato prefettizio per la tutela delle opere d’arte, furono trasportati, come ricorda lo stesso Mambelli nel suo diario, nella canonica di villa San Giorgio diverse opere della Pinacoteca, compreso “Il Pestapepe” e “Ritratto di giovane donna” (così era denominata negli inventari dell’epoca la tavola che qualcuno ritiene essere il ritratto di Caterina Sforza ndr). Altri capolavori e gran parte del Fondo Piancastelli trovarono collocazione in locali delle parrocchie di Vecchiazzano e di Pieveacquedotto e della villa Beltramelli a Borgo Sisa (qui vi fu nascosta l’Ebe del Canova).
A San Giorgio tutto materiale che fu affidato in custodia a don Carlo quando due mesi prese possesso della parrocchia al posto di don Eugenio Servadei Mingozzi che era deceduto. Alla consistente dotazione il 4 ottobre 1943 si aggiunse “ai fini della protezione antiaerea durante lo stato di guerra la tela di Guido Reni detta L’immacolata appartenente alla Chiesa di S. Biagio”, come da decisione assunta dal parroco don Pietro Garbin (direttore dal 1942 dell’opera salesiana, che aveva attorno all’oratorio S. Luigi il polo di aggregazione giovanile, infaticabile soccorritore di prigionieri civili e religiosi durante la guerra e per questo oggetto di violenze da parte dei tedeschi nel corso del 1944).
Le opere conservate a San Giorgio subirono due requisizioni da parte dei soldati tedeschi, con la complicità di funzionari italiani. L’8 luglio 1944, si legge in una relazione di don Carlo Zoli, “munito di autorizzazione del Commissario Straordinario del Comune, Dott. Attiliano Tancini, si presentò alla canonica il Dott. Renato Bartoccini, Ispettore per le Antichità e Belle Arti, in compagnia di un Ufficiale Germanico, per ritirare alcuni dipinti, che affermò doversi conservare in Venezia a titolo di protezione. Dichiarò inoltre di essere stato appositamente inviato dal Ministro dell’Educazione Nazionale e in così dire mostrò il relativo documento, nonché una lettera della Sovraintendenza alle Gallerie dell’Emilia e Romagna in cui erano ricordati i quadri da asportare. Oltre al parroco era presente il Vice-Bibliotecario di Forlì, Antonio Mambelli, che riuscì a dissuadere unitamente al parroco, il dott. Bartoccini dall’asportare il celebre affresco del Melozzo “Il Pestapepe”, facendo presenti le condizioni precarie dell’opera. Così il Bartoccini si limitò a rilevare due quadretti del Beato Angelico, raffiguranti il Natale e Cristo che prega nell’orto, racchiusi in una unica teca protetta da cristallo. Le dette opere, munite di timbro dei Musei di Forlì, insieme ad altre asportate da luoghi diversi, furono caricate in un autocarro che si diresse alla volta di Ravenna”.
Don Zoli dà inoltre notizia di un secondo prelievo avvenuto mesi dopo. “Nel pomeriggio del 28 ottobre 1944 si presentarono alla stessa Canonica due ufficiali tedeschi, che dichiarandosi informati dell’esistenza ivi di dipinti della Pinacoteca di Forlì, costrinsero il parroco a mostrarglieli. Poiché i detti ufficiali non richiesero l’elenco delle opere in deposito, soltanto alcune furono date loro in visione; alla richiesta se altri dipinti vi fossero il parroco dichiarava che da tempo quelli di maggior valore erano stati trasportati in Venezia. La sera stessa uno dei ricordati ufficiali, con l’aiuto di soldati, tolse da una stanza i seguenti dipinti: Lorenzo di Credi: Ritratto ritenuto di Caterina Sforza, Federico Tedesco: Il Presepio, Ignoto: (Scuola Ferrarese): Ritratto di uomo, Gerolamo Marchesi da Cotignola: Ritratto di gentildonna, L’ufficiale germanico rilasciava al parroco la ricevuta che dando assicurazione che i dipinti di cui sopra, d’ordine del Governo Fascista Repubblicano, sarebbero stati trasportati in un Museo di Stato italiano oltre il Brennero».
Antonio Mambelli, nel suo diario scrive che don Zoli volle “che io fossi presente, il che mi ha dato modo, con il suo appoggio, di evitare il trasporto dell’affresco Melozziano, per aver fatto osservare la precarietà delle condizioni del lavoro. In un primo tempo i dipinti conservati in canonica, erano custoditi in casse; ma poi di mia iniziativa li avevo fatti togliere ed è stato un bene, come un bene è stato sottrarre alla pubblica vista i celebri arazzi fiamminghi. Nella sala è rimasta soltanto la celebre concezione del Reni, di pertinenza della chiesa di S. Biagio in S. Girolamo: le opere del Francia, Rondinelli, Marchesi, Ramenghi e di alcuni maestri primitivi si trovano ora convenientemente celate. Ci siamo separati con spiegabile dolore dall’Angelico, dono di Melchiorre Missirini alla città nativa; queste opere tutto rappresentano per noi, sono le gemme delle nostre raccolte e le accompagna l’augurio di un sollecito ritorno. Avverrà questo? Il dubbio ci attanaglia, che è codesta la guerra che tutto rende possibile, la guerra dei predoni”.
Grazie alla determinazione di don Carlo Zoli e di Antonio Mambelli, ai quali dobbiamo riconoscenza, “Il Pestapepe” fu salvato, mentre la tavola “Ritratto di giovane donna” fu recuperata, insieme alle altre opere (eccetto una mai ritrovata) al termine del Secondo conflitto mondiale.
Marco Viroli e Gabriele Zelli
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