Fra pochi giorni ricorrerà l’anniversario della nascita della Repubblica Italiana dopo venti anni di regime dittatoriale e al termine di un conflitto che causò immani distruzioni e oltre sessanta milioni di morti. Che festa sarà quest’anno mentre si sta ancora combattendo la pandemia generata dalla diffusione del virus Covid 19? Come già avvenuto per il 25 aprile e per il 1 maggio, non saranno consentite manifestazioni, iniziative culturali e musicali di massa. Le celebrazioni avranno anche in questo caso un taglio molto tecnologico, oppure saranno contingentate. Però niente ci vieta di riflettere, di pensare a quali sforzi furono necessari per ripartire. Sicuramente al primo posto non figurava la necessità di andare dal parucchiere o dal barbiere, oppure al ristorante o al mare, tutte attività che comunque riaprirono fra mille difficoltà, o l’avvio del campionato di calcio, che comunque si svolse come con una complessa organizzazione che alla fine vide vincitore il Torino con il suo giocatore Guglielmo Gabetto che risultò miglior marcatore con ben 22 reti. Le esigenze erano ben altre, soprattutto nelle città: mancava il cibo, in molti casi l’acqua non arrivava nelle case perché gli acquedotti erano stati pesantemente danneggiati, non c’era la corrente elettrica, non si trovavano le scarpe e altri prodotti per la persona, una parte consistente del patrimonio edilizio era danneggiato o inutilizzabile a causa dei bombardamenti e così via.
In questo contesto non è mai una cosa superflua ricordare la situazione che hanno vissuto le frazioni e le località del nostro territorio durante il Secondo conflitto mondiale, perché ovunque la guerra seminò morte e distruzione in maniera più o meno accentuata. Ed è da una situazione estremamente difficile e precaria che 75 anni fa si dovette ripartire per ricostruire e per riprendere una vita normale. Prendo come esempio la frazione di Rovere e successivamente lo farò per San Varano.
In base a quanto viene riportato ne la “Cronistoria della parrocchia di Rovere di Forlì” tenuta dall’allora parroco don Felice Giuliani e nei libri: “La guerra nelle mie valli” di Luigi Cesare Bonfante (2006), “Usfadè” di Salvatore Gioiello e Lieto Zambelli (1992), “Fuori dalle mura” di Chiara Mazza (2003), “Diario degli avvenimenti in Forlì e in Romagna dal 1939 al 1945” di Antonio Mambelli (2003), si possono elencare gli avvenimenti più salienti avvenuti a Rovere a partire dai primi mesi del 1944.
Niente processione in occasione di Santa Eurosia
Per sabato 29 aprile, mentre sull’Appennino si stava concludendo il drammatico rastrellamento contro le formazioni partigiane da parte dei nazifascisti, a Rovere era in programma la festa di Santa Eurosia, vergine e martire cristiana decapitata dai Mori nei pressi di un villaggio dei Pirenei spagnoli, Yebra (Alta Aragona), venerata come santa dalla Chiesa cattolica e invocata contro le tempeste, la grandine, i fulmini e per la protezione e fertilità dei raccolti. In tutta la nostra campagna in situazioni normali questi appuntamenti registravano molta partecipazione ma in quella giornata a Rovere la tradizionale processione non si svolse per timore di bombardamenti. Uno dei primi avvenne il successivo 30 giugno quando fu colpita una zona nelle vicinanze del centro abitato di Rovere. Mentre il 28 luglio si registrarono mitragliamenti a Vecchiazzano, San Varano, Rovere e nei dintorni di Castrocaro.
Le fucilazioni di Castrocaro
Lunedì 14 agosto fece clamore in tutta la zona la notizia che nei pressi del cimitero di Castrocaro, alle 9.00, un plotone di esecuzione del 1° Battaglione “M 9 Settembre”, di stanza nella località termale, passò per le armi gli antifascisti Gian Raniero Paulucci de’ Calboli Ginnasi e Antonio Benzoni, entrambi di Forlì. Nei rapporti della Guardia Nazionale Repubblicana il primo venne definito “sovventore dei ribelli” e l’altro “detentore di armi ed esplosivo”. Insieme a loro furono fucilati l’allievo ufficiale GNR Fiorenzo Grassi della Compagnia ausiliaria del vice comando provinciale di Forlì (definito “cospiratore, sovvenzionatore comunista”), il milite scelto Antonio Buranti di Bertinoro ed il milite Livio Ceccarelli, ex piantone della Federazione fascista di Forlì; il primo fu accusato di aver venduto armi ai “ribelli”, il secondo di collaborazione con gli stessi, tutti per “tradimento della Patria”.
Del Marchese Paulucci di Calboli ho già scritto a proposito di Ladino, dov’è sepolto. Qui aggiungo che quando seppe che sarebbe stato fucilato chiese la presenza di un parroco per confessarsi. Don Luigi Superga, di Tredozio, allora giovane sacerdote, cappellano a Castrocaro, che personalmente ho conoscituo negli anni ’80 quando esercitava il suo ministero a Dovadola, fu avvisato di questo nel pomeriggio del 13 agosto 1944. Nella sua testimonianza, raccolta da Salvatore Gioiello e Lieto Zambelli, ricorda che arrivò presso la canonica una camicia nera della “IX Settembre” ad avvertirlo che Paulucci aveva chiesto il sacramento della confessione per sé e per gli altri quattro condannati a morte. “Entrai in caserma”, raccontò don Superga, “assieme al mio arciprete, don Enrico Cicognani, e ci disponemmo in attesa. Uscì un giovane in divisa fascista, accusato di tradimento (Buranti ndr). Aveva il viso tumefatto dalle percosse subite. Suo padre combatteva a fianco dei partigiani in Jugoslavia e lui aveva capito l’errore commesso: “Muio per la libertà” ci disse. Era il primo che avremmo dovuto confessare; l’aveva mandato il marchese Gian Raniero. Improvvisamente scattò un allarme: un gruppo di partigiani stava tentando un’irruzione. Si scatenò un movimento frenetico, grida ed ordini si sovrapponevano alimentando confusione e panico. In breve, tutti uscirono ed il colloquio appena avviato fu interrotto bruscamente. Dovemmo andarcene e tornare a casa”.
Il bombardamento del 1° settembre 1944
In questa giornata attacchi aerei si verificarono su Rovere e San Varano, ove una casa fu danneggiata, morì una bambina e ci furono tre feriti, anche se il vero obiettivo era la vicina Terra del Sole. Infatti alle 7.50 circa sei cacciabombardieri apparsi da sud, dopo alcune raffiche di mitra, si gettarono in picchiata sulla cittadella medicea e sganciarono ciascuno due bombe e spezzoni che avvolsero l’abitato in una coltre di fumo nero. Una striscia del paese, quella di nord-est, venne gravemente colpita: una decina di case distrutte ed altrettante danneggiate. Diversi abitanti furono messi in salvo, tredici i feriti estratti dalle macerie, mentre per una signora sfollata da San Godenzo non ci fu nulla da fare. Dopo l’incursione aerea si contarono anche tre morti fra i tedeschi, erano addetti alla riparazione di autoambulanze. Considerata l’azione improvvisa e la potenza degli esplosivi i danni potevano essere ben maggiori nonostante fossero stati colpiti anche la casa di riposo, l’asilo d’infanzia, il cui oratorio andò distrutto, e leggermente la chiesa di Santa Reparata, dove si trovavano numerose persone.
Il bombardamento del 25 ottobre 1944
A Rovere i momenti più drammatici si ebbero con l’avvicinarsi del fronte e dei conseguenti combattimenti. Infatti mercoledì 25 ottobre 1944 sei cacciabombardieri alleati bombardano la casa della dogana e mitragliarono “perché avevano saputo di una radio emittente tedesca nella casa di Mazzavillani”. Nell’occasione persero la vita Arturo Guardigli, di 31 anni, meccanico, il colono Ermenegildo Mazzavillani e Venerando Fanti, di 57 anni per un colpo di mitraglia mentre abbeverava le mucche. Dal diario di don Giuliani si apprende che i morti furono portati in chiesa per le esequie il mattino seguente prima del levar del sole.
Due giorni dopo la località fu posta sotto il tiro dei cannoni inglesi e questa situazione continuò per diversi giorni. Mercoledì 8 novembre le artiglierie alleate, che sparavano dal Sanatorio di Vecchiazzano, da Ladino e da Fiumana tennero costantemente sotto tiro la zona della chiesa di Rovere, della dogana e di villa Giulianini. Tre giorni dopo, sabato 11 novembre, sempre sotto il tiro continuato delle artiglierie, la chiesa venne centrata da proiettili nella ancona dell’altare di San Pietro e nella sacrestia. Poiché era già stato colpito l’appartamento del 2° piano il parroco don Giuliani e gli sfollati si rifugiarono nella vicina capanna.
Nel prossimo testo ricorderò l’arrivo dei soldati alleati e dei rifugi scavati sotto la sede stradale per proteggersi dai bombardamenti.
Gabriele Zelli
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