Grande il suo intervento per il 25 aprile. Il ricordo di Paolo Lucchi
Sergio Zavoli se ne è andato e lascia un vuoto profondo. Il 25 aprile 2011 fu oratore a Cesena in occasione del 25 aprile. La testimonianza di Paolo Lucchi, sindaco dell’epoca.
Non ricordo con precisione come contattammo Sergio Zavoli, anche se scommetterei sul coinvolgimento diretto di Stefano Paolucci – capo di Gabinetto del Sindaco e perfetto organizzatore di tutte le cerimonie ufficiali del Comune – e di Rita Ricci, allora Presidente del Consiglio comunale.
Ricordo però le reazioni quando lo comunicammo, che l’oratore ufficiale del 25 aprile 2011 sarebbe stato Zavoli: un coro di “era ora”, “che bello!” e “finalmente”. Perché lo stesso Zavoli che aveva mantenuto un legame strettissimo con la Ravenna nella quale era nato e con la Rimini del suo grande amico Federico Fellini, in effetti a Cesena si era sempre visto pochino. La sua presenza colmava quindi quel senso di inadeguatezza che ogni tanto, immotivatamente, ci pervade.
Il programma del 25 aprile era quindi pronto, quando mi imposi di alzare l’asticella già da record del mondo – quella del confronto impietoso tra gli oratori della giornata, Zavoli ed il sottoscritto – memore di quel che era accaduto al termine del mio primo 25 aprile da Sindaco, quello del 2010, quando, a fine manifestazione, dopo che avevo letto, non senza emozione, il mio intervento pronto da giorni, ero stato avvicinato da un gruppetto di cesenati, le quali mi avevano apostrofato più o meno con un “le cose che hai detto oggi vanno bene, ma noi vogliamo sapere cosa pensi e cosa provi tu, il 25 di aprile e se l’intervento lo leggi, non è possibile”. Preparai quindi non un intervento ma solo una traccia di due paginette striminzite, alla quale pensai però per giorni e che tenni in tasca sentendola letteralmente scottare, mentre ci avvicinavamo al luogo nel quale da tanti anni i cesenati celebrano il loro 25 aprile.
Ci pensò proprio Zavoli ad aiutarmi, notando probabilmente quanto fossi emozionato, perché iniziò a fare i complimenti alla città, che aveva rivisto dopo qualche anno e notando quante persone fossero convenute lì – fingendo di dimenticare che con un “magnete” come lui la folla quell’anno era ancor più numerosa del solito -, magnificando i valori dei romagnoli ed arrivando a raccontarmi anche che dopo la cerimonia sarebbe andato a mangiare tagliatelle e piadina da un amico, a Bertinoro, anche con il gusto di abbracciare dal di lì, con lo sguardo, l’intera Romagna.
Le sue parole ebbero l’effetto di farmi rilassare e di pensare che sarebbe stato bello ascoltarlo mentre si rivolgeva ai cesenati, certo che li avrebbe affascinati come aveva appena fatto con me. E così fu: il mio intervento volò via nei canonici 15 minuti e poi prese la parola lui, in un clima emozionato, di attesa calda e vivace come forse lo si rivissuto solo nel 2019 con Paolo Mieli.
Zavoli fu un gigante abbassatosi per accarezzare, con le sue parole, ognuno di noi. Seguì un filo conduttore che partiva dai temi tipici del 25 aprile – il valore della Resistenza, il suo essere la radice della nostra Costituzione, la necessità di tenere quei valori sempre al nostro fianco -, per giungere alla “romagnolità” più pura, quella declinata anche in una lotta di Liberazione vissuta tra la gente e con la gente, in una Resistenza che da noi fu sul serio popolare, perché vide protagonisti le donne e gli uomini del popolo che Ilario Fioravanti ha sintetizzato mirabilmente nel monumento posto a lato di Viale Carducci.
Fu interrotto da applausi continui, di quelli che scaturiscono dalla voglia di esserci, oltre che dalla voglia di manifestare apprezzamento per l’oratore. Zavoli si godette Cesena ed i cesenati sia lì che alla fine della cerimonia quando tanti, prima timidamente e poi con maggior convinzione circondarono per dargli la mano, per assestargli una pacca d’affetto, anche solo per lanciargli un “brèv Sergio!”. E lui, da buon romagnolo al quale la gente piace, come tutti ci aspettavamo non lesinò a sua volta battute e sorrisi.
Salendo in auto per andarsene e confermando che, dopo una giornata così piena di affetto, si sarebbe goduto ancor di più tagliatelle e piadina, salutò notando quanto dovesse essere bello ritrovarsi a fare il Sindaco di una città così intrisa dai valori veri di comunità che la Resistenza ci ha lasciato. Espresso da chi come lui, per tutta la sua vita, da grande giornalista, ha esaminato il meglio ed il peggio del nostro Paese, quel complimento valeva il doppio. Così come oggi, mentre lui non è più tra di noi, per i cesenati deve valere doppio il ricordo di un uomo che, con intelligenza e dolcezza, sapeva descriverci, indicando però anche la strada giusta da percorrere.
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