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«Il Covid-19 chiede nuove risposte alle imprese romagnole»

Renata Mantovani dopo la scomparsa di Guglielmo Russo gli è succeduta come presidente di CAD ed è stata di recente confermata in quel ruolo. «La ripartenza ha cambiato le modalità di erogazione e progettazione dei servizi»

Renata Mantovani

La scommessa della cooperazione sociale è essere flessibile, veloce, attiva e propositiva per andare incontro ai cambiamenti e alle nuove esigenze delle persone. In Cad cerchiamo di affrontare questa sfida mettendoci sempre passione, tutti insieme». Renata Mantovani in Cad è cresciuta e ha visto la cooperativa crescere con lei, sin da quel giorno del 1987 in cui, giovanissima educatrice, fu assunta per lavorare con i minori in condizioni di disagio. Già vicepresidente accanto ad Elena Grilli e poi al compianto Guglielmo Russo, a cui era succeduta dopo la sua scomparsa, è stata confermata al vertice della Cad a fine giugno, in occasione dell’Assemblea dei soci e del rinnovo delle cariche. A lei è stato assegnato temporaneamente anche il ruolo di direttore generale della cooperativa.

Presidente, alla guida della Cad si è trovata a dover gestire il periodo terribile della pandemia e del lockdown. Come lo avete affrontato?
«È stato un periodo che ci ha messo a dura prova, ma abbiamo voluto dare tempestivamente una risposta snella e operativa in termini di sicurezza e di tutela sia della forza lavoro, sia degli ospiti. Siamo riusciti a mantenere il 75% dei nostri servizi: abbiamo chiuso i centri socio riabilitativi, sospeso l’assistenza scolastica e subito una inevitabile flessione nell’assistenza domiciliare. Il 23 febbraio, a pochi giorni dalla scoperta dei primi casi a Codogno, abbiamo bloccato ogni contatto con l’esterno nelle case residenza anziani. Immediatamente ci siamo attivati per avere tutti i dispositivi di protezione».

Il fatto di essere una cooperativa ha dimostrato il proprio valore aggiunto in questo frangente?
«Svolgiamo il nostro lavoro nei confronti delle persone più fragili, anziani, disabili adulti, pazienti psichiatrici, ed è stato un momento estremamente impegnativo per il controllo di queste situazioni. Con la chiusura dei centri socio riabilitativi, ad esempio, le famiglie si sono improvvisamente ritrovate in grande difficoltà nel dover gestire i loro cari e le loro giornate sono state sconvolte. In un momento in cui si aveva paura di entrare nelle case, i nostri assistenti domiciliari sono rimasti l’unica presenza fisica costante sul territorio. Abbiamo prestato grande attenzione a gestire la situazione non solo dal punto di vista organizzativo, ma anche emotivo, monitorando costantemente il benessere psicofisico dei nostri operatori grazie alla supervisione della psicologa, formandoli e motivandoli ad andare avanti pur in condizioni difficilissime come quelle della pandemia».

A differenza di quanto purtroppo accaduto in altre realtà, nelle Case residenza anziani gestite da Cad siete riusciti a non fare entrare il virus. Avevate capito prima degli altri cosa stava arrivando?
«Avere evitato il coronavirus è stato merito della nostra lungimiranza, così come di un pizzico di fortuna e delle contingenze. Sicuramente devo rivolgere un grande ringraziamento a tutti i nostri operatori, che molto responsabilmente hanno compreso la situazione e sono rimasti a lavorare: infermieri, Oss, operatori domiciliari, educatori, organizzatori dei servizi, personale amministrativo. In Cad lavorano persone molto capaci, con passo spedito, equilibrio e flessibilità».

Anche alla luce di questa esperienza, quali sono le sfide che si profilano per la cooperativa?
«Con la ripartenza sono cambiati i numeri e le dimensioni dei servizi che svolgiamo, in linea con le direttive regionali, e questo implica conseguenze sui parametri dell’accreditamento, che erano argomento di valutazione già prima della pandemia. Se nelle case residenza anziani prevedevamo ad esempio il 40% di stanze singole, ora parte degli spazi vanno riservati all’isolamento ambientale per la quarantena. Un’altra sfida è mantenere le attività ludico-ricreative e il supporto emotivo così importanti per gli ospiti delle nostre case residenza anziani, il cui vanto era proprio l’essere strutture aperte, con un forte rapporto con il tessuto sociale, in cui si valorizzavano i rapporti con i familiari ed era naturale l’ingresso di tirocinanti e volontari. Dovremo poi portare avanti le attività educative dei centri socio riabilitativi con nuove modalità e in piccoli gruppi. In generale, dovremo pensare a risposte nuove di welfare, sostegno e supporto per il tessuto sociale. Occorreranno sempre di più servizi aderenti ai nuovi bisogni, anche temporanei. La flessibilità e la competenza delle cooperative sociali dovrebbero essere il volano per attivare nuove iniziative».

Quali esperienze avete già avviato?
«Un’iniziativa importante è quella dell’Oss di quartiere, che a Forlì assicura il monitoraggio di gruppi di anziani, attivandosi immediatamente in caso sia necessario l’intervento dell’assistente sociale o del medico di famiglia. Altra esperienza recente è il servizio attivato nel distretto di Rimini nord per assistere in emergenza i pazienti non autosufficienti, rimasti soli a causa dell’ospedalizzazione di familiari o badanti durante il Covid».

In oltre trent’anni di esperienza cooperativa in Cad, quali insegnamenti pensa di avere tratto?
«Sono entrata in cooperativa con entusiasmo, e oggi vi lavoro ogni giorno con entusiasmo se possibile anche maggiore. Ho imparato che con il confronto ci si arricchisce, che più si dona conoscenza ed esperienza, più si riceve in cambio. Non bisogna avere paura di chiedere o di sbagliare: quando si mette passione in ciò che si fa, gli obiettivi si raggiungono insieme e se ne condivide l’orgoglio. La cooperativa è come un’orchestra, se si suona da soli la sinfonia non nasce».

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