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Dante Alighieri e gli antichi confini della Romagna

Ai tempi del Sommo Poeta i confini della Romagna erano ben più ampi di quelli attuali

Dopo essere stato condannato a morte per ben due volte dai suoi avversari politici, Dante per salvarsi da morte certa, nel 1300, fu costretto all’esilio. Prese così la strada degli Appennini, attraversando luoghi impervi, selve, pinete, ammirando paesaggi naturali che certamente gli ispirarono il viaggio nel regno dei morti descritto nella Divina Commedia . Non a caso la data dell’esilio da Firenze e quella del viaggio nell’oltretomba sono coincidenti. Il 1300 fu poi anche l’anno del Giubileo voluto da papa Bonifacio VIII, il pontefice che tradì la fiducia di Dante, il cui prossimo arrivo negli inferi è profetizzato da papa Niccolò III nel Canto XIX dell’Inferno. Ed è proprio l’Inferno che per il Poeta potrebbe essere la rappresentazione dell’esilio dalla città natale, come il Purgatorio dell’adattamento alla nuova vita e il Paradiso della pace ritrovata a Ravenna, in terra di Romagna.

Come sovente ho avuto modo di sostenere, a quei tempi i confini della Romagna erano più ampi e andavano ben oltre gli attuali. Per comprendere quali fossero allora i limiti geografici della nostra terra ci è possibile consultare la Divina Commedia e, tra i preziosi endecasillabi, ricercare quali fossero le convinzioni a tal proposito di Dante Alighieri e dei suoi contemporanei.

Nel Canto XXVII dell’Inferno Dante incontra Guido da Montefeltro, condannato alla dannazione eterna perché colpevole di essere stato consigliere fraudolento. Il montefeltrano fu capo dei ghibellini romagnoli e capitano del popolo a Forlì e Faenza; negli ultimi anni di vita, Guido si rinchiuse nel convento d’Assisi, dove morì nel 1298. Guido chiede al Poeta notizie riguardo la sua terra d’origine: «dimmi se Romagnuoli han pace o guerra; / ch’io fui d’i monti là intra Orbino / e ‘l giogo di che Tever si diserra» (vv. 28-30). Da questi versi appare evidente come i monti che vanno da Urbino al Fumaiolo, sorgente del Tevere, fossero a quei tempi considerati facenti parte delle terre di Romagna a tutti gli effetti.

A nord l’indagine si fa leggermente più ardua. L’attuale limite, fissato sul fiume Sillaro, non determina il preciso perimetro del bacino idrografico romagnolo, funzione che invece svolge a meraviglia il fiume Reno. A conforto di questa tesi torna Dante Alighieri che, nel Canto XIV del Purgatorio(v. 92) indica quelli che allora erano considerati i confini delle terre di provenienza del nobile romagnolo Rinieri da Calboli: «tra ‘l Po e ‘l monte e la marina e ‘l Reno» (tra il Po e l’Appennino e l’Adriatico e il Reno). Il Po di Primaro costituiva il limite settentrionale della regione, inclusi i suoi rami deltizi. Ne consegue perciò che, tra la fine del XIII e gli inizi del XIV secolo, la linea di demarcazione della nostra regione era posta sui due fiumi “emiliani”. Ancor oggi, se si osserva con attenzione una qualsiasi mappa fisica dell’Italia, la Romagna appare così ben delineata! Spesso però i confini naturali hanno subìto modificazioni per motivi politici o economici che hanno messo in discussione ciò che la natura rende evidente.

Tornando ai confini meridionali, nello stesso Canto XIV del Purgatorio (vv. 97-99) Dante comprende esplicitamente il Montefeltro nella Romagna, allorché incontra il bertinorese Guido del Duca e Rinieri da Forlì e si lamenta con essi del degenerare delle nobili schiatte romagnole: «Ov’è il buon Lizio ed Arrigo Manardi? / Pier Traversaro e Guido di Carpigna? / O Romagnoli tornati in bastardi.»

Anche in un commento quattrocentesco di Giovanni Bertoldi da Serravalle, vescovo e teologo che tradusse in latino la Divina Commedia nel 1416, si conferma l’inclusione del Montefeltro nella Romagna. Così il religioso spiega il passo in cui Dante fa cenno a San Leo: «In Romandiola est unus mons qui dicitur Monsfeltri, super illum est una civitas quae vocatur Sancti Leonis.» (In Romagna c’è un monte chiamato Montefeltro, sopra al quale c’è una città che ha nome San Leo).

Diverse sono le citazioni della Romagna che appaiono nella Divina Commedia. La prima compare nel celeberrimo Canto V dell’Inferno, dove Francesca da Rimini descrive in pochi quanto efficaci tratti il territorio romagnolo: «Siede la terra, dove nata fui, / su la marina dove ‘l Po discende / per aver pace co’ seguaci sui» (Inferno, Canto V, vv. 97-99).

Proseguendo nella nostra ricerca, nell’ottava bolgia dell’Inferno, dove sono condannati i consiglieri fraudolenti, Dante incontra Guido da Montefeltro, il quale gli chiede: «Dimmi se Romagnuoli han pace o guerra». Il Poeta gli risponde ricordando la Romagna con affetto e melanconia: «Romagna tua non è, e non fu mai, / sanza guerra ne’ cuor de’ suoi tiranni; / ma ’n palese nessuna or vi lasciai.» (vv. 37-39). Quindi passa a fornire un quadro aggiornato città per città della situazione politica: «Ravenna sta come stata è molt’anni: / l’aguglia da Polenta la si cova, / sì che Cervia ricuopre co’ suoi vanni. / La terra che fé già la lunga prova / e di Franceschi sanguinoso mucchio, / sotto le branche verdi si ritrova. / E ‘l mastin vecchio e ‘l nuovo da Verrucchio, / che fecer di Montagna il mal governo, / là dove soglion fan d’i denti succhio. / Le città di Lamone e di Santerno / conduce il lïoncel dal nido bianco, / che muta parte da la state al verno. / E quella cu’ il Savio bagna il fianco, / così com’ella sie’ tra ‘l piano e ‘l monte, / tra tirannia si vive e stato franco» (Inferno, Canto XXVII, vv. 40-54).
Ravenna (vv. 40-42) è sempre sotto i Da Polenta, che hanno esteso il proprio dominio sulla vicina Cervia;
Forlì (vv. 43-45) dopo il sanguinoso eccidio dei francesi inviati dal papa, per toglierla proprio a Guido, è ora sotto il dominio degli Ordelaffi;
Rimini (vv. 46-48) è governata dai Malatesta, famiglia proveniente da Verucchio, che ha spodestato Montagna dei Parcitati;
Faenza e Imola (vv. 49-51), indicate dai loro fiumi (rispettivamente Lamone e Santerno), stanno sotto Maghinardo Pagani, il cui emblema è un leone in campo bianco;
Cesena (vv. 52-54), indicata dal fiume Savio che la bagna, vive tra tirannia e libero comune.
Questi versi sono estremamente importanti in quanto evidenziano come la Romagna sia l’unica regione italiana che Dante Alighieri descrive nella Divina Commedia.

Sta di fatto che il Sommo Poeta esule da Firenze, dopo aver a lungo peregrinato, nel 1318 decide di trasferirsi stabilmente in Romagna e di vivere a Ravenna. Qui, alla corte di Novello da Polenta trovò casa e impiego per sé e per i figli. Qui trovò il suo ultimo rifugio, terminò la Divina Commedia e rese l’anima all’Altissimo nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1321. Anche per questo è possibile affermare senza timore di smentita che La Romagna fu per Dante una seconda patria.

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